1987: la Grecia nell’Olimpo del basket

Da qualche anno, purtroppo, quando si parla di Grecia spuntano inevitabilmente parole come crisi economica, debiti, povertà. Non sembra più così facile associare la Grecia alla mitologia, all’Olimpo, alle imprese di dei ed eroi. O all’arte classica, alla filosofia, alla democrazia, tutte espressioni dello spirito umano germogliate in antichità tra il mare azzurro e le impervie montagne dell’Ellade. O, ancora, allo sport, visto che i giochi olimpici, per consentire i quali venivano fermate persino le guerre, li hanno inventati là.

Diventa più semplice riavvicinare la Grecia a tutto questo, invece, se si racconta la vittoria della nazionale ellenica di basket nel campionato europeo del 1987, giocato in casa. Perché quel successo fu innanzitutto una grande impresa sportiva; quindi, fu mitologia, perché rara se non unica, e perché solo lo sport, forse, riesce a stimolare come nient’altro l’immaginario collettivo di una nazione; fu filosofia, perché mai come quella volta ha trovato piena realizzazione l’idea che anche chi parte senza i favori del pronostico, possa ribaltare ogni avversità con il lavoro duro, lo spirito di squadra, la determinazione e lo sfruttamento delle occasioni giuste; fu democrazia, perché la Grecia ottenne quel che si era meritata sul campo; e, infine, fu arte classica, perché è impossibile definire altrimenti la perfetta coordinazione dei movimenti di Nikos Galis, il “dio” degli europei di basket 1987. E di una nazione che si ricordò di essere grande.

Hellas! Hellas!

Assordante e senza sosta, il grido d’incitamento dei tredicimila scatenati del Peace and Friendship Stadium diventa, gara dopo gara, parte integrante dell’aria fumosa e nebbiosa del grande impianto del Pireo, dove la nazionale bianca e blu gioca tutte le partite del torneo. Fino all’assuefazione, e a quel punto al frastuono neanche ci si fa più caso.

Grecia Spyridon Louis
Spyridon Louis, vincitore della maratona olimpica del 1896.

La Grecia avrà pure inventato le Olimpiadi e ospitato nel 1896 i primi Giochi della nostra era, con Spyridon Louis, la maratona e tutto il resto, ma nello sport moderno quel piccolo e arretrato stato di dieci milioni di abitanti non aveva conosciuto la gloria che altre nazioni, più grandi, ricche ed evolute, avevano fatto propria. Repubblicana e democratica soltanto dal 1974, dopo un passato monarchico e sette anni di dittatura militare, la Grecia compì un primo miracolo riuscendo a entrare nell’allora Comunità Economica Europea nel 1981, anno a cui seguirono le riforme dei governi socialisti di Andreas Papandreou.

Il secondo miracolo i greci lo fecero nel basket. Disciplina, questa, praticata e amata in tutto il Paese ma finora con scarso successo internazionale. La rappresentativa ellenica non era mai andata oltre l’ottavo posto continentale, se si eccettua il bronzo nell’improbabile “europeo” del 1949 disputatosi a… Il Cairo e con sole sette squadre partecipanti, tre delle quali erano Egitto, Siria e Libano.

Sfavoriti

Giugno 1987. L’estate è già torrida in Grecia, ma sempre meno che dentro il palasport del Pireo. I tifosi sono pronti a trasformare quella grande arena, aperta appena due anni prima, in una roccaforte inespugnabile e a vivere dodici giorni di trasporto assoluto. Sarà che hanno capito che l’occasione (l’europeo in casa) è unica, sarà che hanno una gran voglia di lasciarsi andare, di far esplodere la loro gioia, di urlare al resto del mondo che la Grecia esiste e non è solo rovine di millenni avanti Cristo, pastori e qualche isoletta.

Ma il dato di fatto è che sono loro gli unici a credere veramente che la Grecia possa arrivare fino in fondo. I pronostici sono di tutt’altro parere e ipotizzano al massimo una qualificazione ai quarti di finale, che comunque gli ellenici si dovranno sudare.

Grecia 1987

La realtà era proprio questa: la nazionale di coach Politis aveva due campioni riconosciuti, Nikos Galis e Panagiotis Yannakis, tra l’altro compagni di squadra all’Aris Salonicco, e una pletora di gregari dal talento limitato o tutto da dimostrare, come Christodolou, Fassoulas, Kambouris, Ioannou, Andritsos, e un gruppetto di ragazzi che avrebbero giocato soltanto scampoli di partita, Stavropoulos, Linardos, Romanidis, Karatzas, Filippou. Dunque una panchina cortissima e due soli veri go-to-guys, come indicano in America i giocatori più forti della squadra a cui vengono affidate le maggiori responsabilità.

Unione Sovietica, Jugoslavia, Italia e Spagna sembrano una spanna sopra a tutti, la Grecia in teoria se la dovrebbe giocare con formazioni di seconda fascia come Francia, Polonia, Germania, Israele. Politis chiede ai suoi titolari un grande sforzo fisico e mentale per sopportare, contro avversarie quasi tutte superiori, almeno trenta-trentacinque minuti in campo al massimo livello. Il 3 giugno 1987 inizia il campionato europeo.

Galis, grinta da emigrante

A 3 minuti e 43 secondi dalla fine della prima partita, con la Grecia nettamente in controllo sulla piccola Romania (finirà 109-77), Nikos Galis viene richiamato in panchina a godersi l’ovazione del suo pubblico. Ha iniziato segnando 44 punti, contro avversari modesti, ma è pur sempre una grande prestazione. Poco gli importa: Nikos i canestri li ha sempre fatti, contro chiunque. È un duro. A trent’anni non si meraviglia più di niente, cerca di giocare come si deve partita dopo partita, ancora non sa che dopo quella sostituzione il parquet del Pireo lo lascerà soltanto con la medaglia d’oro al collo.

Nato a Union City, nel New Jersey, figlio di emigranti di Rodi, si chiama in realtà Nikolaos Georgalis, ma gli americani abbreviano sempre tutto e non capiscono mai al volo i nomi degli stranieri. E diventa per tutti Nikos, o Nick, Galis. Tra le persone che ammira c’è suo padre George, ex pugile, e da ragazzino prova a percorrere l’insidiosa e fascinosa strada del boxeur “emigrante”, tra la realtà storica di Rocky Marciano e la finzione di un altro Rocky, Balboa, che proprio in quel periodo stava baluginando nella mente di Sylvester Stallone. È la madre di Nikos, stufa di vederlo rientrare la sera pieno di lividi e ammaccature, a spingerlo ad abbandonare il pugilato e a dedicarsi unicamente alla pallacanestro. Nikos accetta e comincia a giocare per la squadra liceale della Union Hill High School. A suon di canestri e grazie alla sua abilità di playmaker si guadagna una borsa di studio per il basket a Seton Hall University, sempre nel Jersey.

Con i Pirates resta dal 1975 al 1979 e nell’ultimo anno è il terzo miglior marcatore universitario degli Stati Uniti, con una media di 27,5 punti a partita, dietro a tale Lawrence Butler di Idaho State e a Larry Bird di Indiana State, che non molto tempo dopo perderà la finale NCAA contro la Michigan State di Magic Johnson e diventerà la leggenda dei Boston Celtics. E proprio i “verdi” scelgono Galis al quarto giro (allora le squadre NBA erano di meno e i giri di draft di più), ma Nick si fa male durante il training camp e Red Auerbach non se la sente di offrirgli un contratto garantito. “Sarà l’errore più grosso della mia carriera”, dirà in seguito lo storico coach e manager dei Celtics. Galis decide allora di varcare l’Atlantico e di andare a giocare nella terra dei suoi genitori, prendendo la cittadinanza ellenica per poter vestire la divisa della nazionale greca.

Grecia Galis

Basket di un altro mondo

Era proprio un altro basket, quello ancora in voga nel 1987. Ai calzoncini molto corti corrispondevano calzettoni molto lunghi, quasi al ginocchio. Baffi e mullet abbondavano sulle teste folte dei giocatori. Niente super atleti palestrati e tatuati alla LeBron James e neppure alla Kobe Bryant. Ragazzoni normali, qualcuno magrissimo, ritmi di gioco lenti ma tanta, tanta tecnica, e talento allo stato puro. Anche il mondo era un altro. Gli ultimi scampoli dei due blocchi, la Jugoslavia e l’Urss ancora unite per qualche anno. Zero internet, Sky e quant’altro: modesta diretta tv, radio e al mattino dopo il giornale. Anche le partite erano diverse, due tempi da venti minuti, la palla a due per ogni contesa e trenta, interminabili secondi per andare al tiro. Di lì a pochi anni sarebbe cambiato il mondo, e pure il basket. Intanto è la nazionale ellenica che prova a cambiare il suo futuro.

Nella seconda partita dell’Eurobasket ’87, infatti, la Grecia gioca un brutto scherzo alla Jugoslavia: 84-78. Si tratta del primo sovvertimento di pronostico da parte della squadra allenata da Politis. Gli slavi non erano una potenza assoluta, ma comunque un team di prima fascia. Attorno ai fratelli Aza e Drazen Petrovic ruotavano alcuni giovanissimi di straordinario avvenire: Divac, Kukoc, Radja, Djordjevic, Paspalj, Vrankovic, roba che, se la nazione che fu di Tito fosse rimasta unita e se un crudele destino non avesse tolto Drazen Petrovic dalla faccia della terra a soli 29 anni, avrebbe messo in campo una delle migliori squadre di tutti i tempi. Mentre in difesa i Petrovic furono contenuti a medie più basse rispetto alle loro abituali, in attacco Galis tirò fuori un’altra magnifica performance, pareggiando il record realizzativo della partita precedente: ancora 44 punti.

Il successo sulla Jugoslavia fece lievitare l’entusiasmo dei tifosi ellenici, ma seguirono due bocconi amari: la netta sconfitta con la Spagna per 106-89 e quella di misura con l’Unione Sovietica, l’armata rossa campione in carica e che tuttavia la Grecia riuscì a spaventare (69-66). Le speranze di passare il turno sono affidate all’ultima partita della prima fase, un vero e proprio spareggio con la Francia, che verrà regolata 82-69 con 34 punti di Galis frutto di un “folle” 72 per cento al tiro. La Grecia si qualifica in punta di piedi alla fase playoff, con il quarto posto nel girone, ma i tifosi già preparano l’inferno e dalle parti di Atene il clima è ancor più surriscaldato di quanto la colonnina di mercurio faccia presagire.

Gli occhi della tigre

Il 10 giugno, per i quarti di finale, la Grecia affronta l’Italia, con cui in passato ha sempre perso. Il pronostico è, ancora una volta, contrario alla squadra di coach Politis. La forte nazionale azzurra ha chiuso imbattuta la prima fase. Allenata da Valerio Bianchini, ha il suo leader in Antonello Riva e gli altri punti di forza in giocatori quali Magnifico, Brunamonti, Costa, Villalta, Morandotti e un giovane Gentile. Cinque vittorie in altrettante partite, ma in un girone molto più facile dell’altro (Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Olanda e Israele), finiscono per creare un sentimento misto tra appagamento e sopravvalutazione il quale, di fronte alla Grecia trascinata incessantemente dal suo pubblico, mette l’Italia di fronte a uno scoglio insormontabile. Con 38 punti di Galis e 22 di Yannakis, e senza dimenticare i 14 di un Kambouris di cui si sentirà parlare parecchio qualche giorno più tardi, gli ellenici impongono il loro ritmo e battono l’Italia 90-78, qualificandosi per le semifinali. Comincia il sogno.

A separare la Grecia tra la realtà e il mito c’è di nuovo la Jugoslavia. Dopo aver distrutto la Polonia 128-81 nei quarti, Petrovic e compagni vogliono vendicare la sconfitta della prima fase e ricacciare le urla in gola ai sempre più bollenti tifosi greci. Hellas! Hellas! Hellas! La partita è di incredibile intensità. La Grecia esprime una straordinaria prova difensiva, limitando il Diavolo di Sebenico a “soli” 22 punti, mentre dall’altra parte Galis realizza il suo… minimo, cioè 30 punti, con il 58 per cento al tiro. A un minuto dalla fine, nell’ormai abituale bolgia al calor bianco del Pireo, la Grecia è avanti 81-77 e la Jugoslavia non sa più dove mettere le mani. Il pubblico accompagna ogni passaggio con “olé” calcistici. I greci sono lucidissimi, sanno ormai dove vogliono (e possono) arrivare, mentre gli slavi non riescono ad andare oltre qualche fallo tattico che però non determinerà più cambiamenti nel punteggio. La Grecia è in finale.

Si festeggia in campo e sugli spalti come se il campionato fosse già vinto e gli altoparlanti del palazzo sparano a palla Eye of the tiger di Rocky III (la cantano i Survivor, comunque). Ma Galis, pugile in gioventù, sa che c’è ancora un avversario prima della gloria e che la guardia va tenuta alta. Serviranno più che mai gli occhi della tigre. Nikos è Giasone e i suoi compagni gli Argonauti alla ricerca di un vello d’oro chiamato titolo europeo. One more, ancora una.

La Grecia sfida il gigante sovietico

Soltanto una costante concentrazione, senza un minimo di flessione fisica e mentale, poteva consentire alla Grecia, inizialmente considerata inferiore a numerose squadre, di arrivare fino in fondo. Un coach preparato e predicatore di un basket essenziale (forse per le poche scelte a disposizione), almeno due leader in campo a metterne in pratica le direttive, ma soprattutto un clima infernale che, se dalla tua parte, può essere l’ingrediente giusto per farti esaltare. 14 giugno 1987: finale europea all’Eirini kai Philia ovvero il Peace and Friendship Stadium di cui sopra. Il palazzo è già stracolmo ore prima della palla a due. La temperatura ambientale e il livello dei decibel salgono inesorabilmente, fino a esplodere all’ingresso in campo delle squadre. I cori sono già incessanti durante le fasi di riscaldamento. Hellas! Hellas! Hellas!

Tutti i greci sono consapevoli che oggi si fa la storia. Completo bianco con bordi blu per i padroni di casa, divisa rossa bordata di bianco per gli avversari. L’Unione Sovietica è campione in carica e ha vinto l’oro in tre delle ultime quattro edizioni, successi intervallati solo dall’exploit italiano del 1983. I rossi del colonnello Gomelski sono imbattuti e hanno sempre segnato oltre cento punti a partita, tranne, guarda caso, contro la Grecia, già incontrata e superata nella prima fase con un misero 69-66. Marciulonis è un giocatore che andrà nella NBA quando gli stranieri erano visti come marziani, Valters un leader tutto fosforo e punti nelle mani, Tkachenko spaventa con i baffoni e i suoi 221 centimetri. Russi, lituani, lettoni, georgiani, ucraini: l’Urss, il gigante d’argilla che nel giro di qualche anno, dopo la Perestrojka di Gorbaciov, si sarebbe dissolto, chiudendo un’epoca e dando al via al mondo contemporaneo. In un delirio assordante, la partita ha inizio: tutta la Grecia, dal pubblico presente al Pireo al più sperduto paesino del Peloponneso o alla più lontana delle isole del Mar Egeo, si stringe attorno alla sua nazionale di basket in un continuo crescendo di esaltazione.

Grecia 1987

Primo tempo

In quel clima di fede assoluta, l’incontro si configura subito come una battaglia punto a punto. Le due contendenti giocano un basket di squadra, controllato, con poche concessioni alle iniziative individuali. Rivedendo oggi quelle immagini pallide, a quasi trenta anni di distanza, si apprezzano i fondamentali che la pallacanestro di oggi ha in parte sacrificato in nome dell’atletismo, del tiro da tre esasperato e della vorticosa velocità: i movimenti in palleggio, il gioco in post alto e basso, l’arresto e tiro, i tagli, il penetra e scarica, il “dai e vai” eccetera.

Nel concerto del Pireo emerge però l’assolo di un violinista d’eccezione: Nikos Galis, di nuovo. I movimenti, lenti ma precisi e inarrestabili, rasentano la perfezione; le siderali parabole di tiro eludono la difesa di avversari molto più alti e grossi di lui; i giri in palleggio, la capacità di proteggere la palla con il corpo anche quando sembrava che l’avversario gliela abbia ormai soffiata, l’abilità a incunearsi nella giungla difensiva con i suoi imprevedibili giochi di braccia e i fluttuanti stacchi da terra: tutto questo rende le azioni di Galis l’oggetto preferito degli sporadici replay televisivi di allora, quando per guadagnarti il “ralenti” dovevi aver fatto qualcosa di davvero meritevole. E il pugno alzato, il gesto silenzioso cui Nikos celebra ogni suo canestro “impossibile”, a significare che lui, ogni attimo di quel successo, se lo è guadagnato con la fatica e il lavoro.

Tuttavia nei primi momenti della partita sono Fassoulas e Kambouris, i dioscuri dell’area pitturata, a portare la Grecia a un primo e favorevole parziale di 21-13. “Castore” Fassoulas, giovane, aitante e dalla folta capigliatura riccia, la rivelazione del torneo; e “Polluce” Kambouris, dall’aspetto modesto, calvizie incipiente ma grandissimo lottatore, e futuro eroe: sono loro i collanti del quintetto nel rude ma ragionato gioco sotto canestro, in cui di fronte a colossi come Tkachenko, Tikhonenko e Volkov era necessario ricorrere a tutta l’intelligenza e a tutto il senso della posizione possibili. L’Urss però non molla e si riavvicina, fino a superare la Grecia a dieci secondi dall’intervallo con una tripla di Valters; comunque nell’ultima azione è Yannakis a infilare i due tiri liberi che valgono il minimo vantaggio di metà gara: 42-41. Si va negli spogliatoi a respirare un po’.

Secondo tempo

Nel secondo tempo, a ogni centesimo che si consuma sul cronometro, il livello di competizione, tensione e coinvolgimento sale a livelli inenarrabili. Dopo la palla a due i tifosi sembrano placarsi un po’, quasi a contemplare l’importanza di ciò di cui sono testimoni, salvo poi riesplodere senza esitazione ai primi canestri per non smettere più. Hellas! Hellas! Hellas! Un lancio a tagliare tutto il campo di Yannakis porge a Galis il canestro in contropiede del 50-46. Sono i due leader a prendere in mano la situazione e a dettare i tempi di tutte le azioni di gioco.

Se il numero 4 Galis è il miglior realizzatore e l’elemento di maggior talento della nazionale, in realtà l’uomo in cui tutti i tifosi si identificano, il capitano, il vero greco, e non solo per i massicci capelli mori e per il tipico naso allungato e convesso, è il numero 6 Panagiotis Yannakis. Nato nel giorno di capodanno del 1959 a Nikaia, a pochi chilometri dal Pireo, sempre nell’area suburbana di Atene, proveniente da una famiglia povera, il più piccolo di cinque fratelli, ha saputo sfruttare il suo talento cestistico per costruirsi una grande carriera nel basket, tanto da ricevere il soprannome di “Drago” e diventare un simbolo della Grecia sportiva, animato da un vero spirito vincente e da un amore per il gioco che lo porterà ad affermarsi pure come allenatore. Lui è Ares-Marte, il dio della guerra, Galis è Ermes-Mercurio, il messaggero degli dei. Nella finale il ritmo è controllatissimo, ogni tiro è pesato, ogni pallone è prezioso e giocato con estrema consapevolezza.

Grecia 1987 Yannakis

La partita è una danza con continui capovolgimenti di fronte, una sinfonia suonata con trasporto da parte di tutti gli orchestrali, con il pubblico pronto a sobbalzare in piedi a ogni canestro così come a ogni tuffo di un giocatore sul parquet per recuperare un pallone vagante. Le vicende di gioco si susseguono, ma presto la Grecia va in difficoltà: Fassoulas e Kambouris hanno quattro falli e ci sono parecchi minuti per i cambi Ioannou, Andritsos, Filippou. L’Urss approfitta di alcuni errori ellenici, recupera e si porta in vantaggio 66-60. Le cose non sembrano mettersi bene per la Grecia: Yannakis si prende da Tkachenko un’involontaria ma terrificante gomitata in faccia che lo stordisce per qualche minuto. Per un bel pezzo il canestro sembra stregato per Galis e soci. In panchina coach Politis, la cui dozzinale polo blu stride con l’impeccabile completo elegante del rivale Gomelski, ha un’espressione preoccupata, ma è sicuro che i suoi sapranno trovare una via d’uscita.

Tutto può cambiare

Mai mollare nel basket, perché tutto può cambiare. Anche quando sembra che ogni cosa vada per il verso sbagliato. Come quando Yannakis incappa nel quarto fallo e sostituirlo è un problema per la panchina cortissima della Grecia. Ormai oltre tredicimila persone sono in trance agonistica e per il gran caldo il commissario di gara al tavolo ha un principio di svenimento.

Nonostante il quinto fallo di Marciulonis e uno straordinario Yannakis che prende in mano la squadra in un momento di offuscamento di Galis, l’Urss mantiene otto punti di vantaggio a quattro minuti dal termine (82-74). C’è sempre un punto di svolta, quando le cose iniziano a girare bene. Per la Grecia quel momento è la tripla di Galis, che riporta i suoi a -5 (82-77) e dà la carica a tutti. Grazie ad alcuni canestri di Ioannou la Grecia torna a ridosso dei sovietici, ma per i minuti decisivi del match deve fare a meno di Fassoulas e Yannakis, costretti a uscire per cinque falli. Soprattutto è il capitano a non darsi pace, convinto di aver rubato palla correttamente a Valters sull’86-83. Ma gli arbitri sono di parere differente e l’europeo del “Drago” finisce qui. Rientra Andritsos, e tutto sembra un puzzle in cui le tessere vanno al loro posto. Tra poco si capirà il perché.

Grecia 1987 Galis

Intanto la partita entra nella stratosfera. Tutta la Grecia è ora sulle spalle di Galis: a un minuto dalla sirena, l’Urss conduce 89-87. Khomichus perde palla, Galis invece la dà proprio ad Andritsos che subisce il quinto fallo di Tkachenko e va in lunetta. Andritsos non si fa tradire dall’emozione e segna entrambi i tiri liberi. Pareggio: 89-89, ma ci sono ancora 36 secondi. Prima Valters manda sul ferro il tiro del possibile vantaggio sovietico, poi nell’azione conseguente Ioannou si fa tutto il campo da solo ma, marcato da Pankrashin, va incredibilmente a sbagliare da sotto canestro. Sul ribaltamento di fronte ancora Valters segna con facilità, ma oltre il suono della sirena: annullato. Si va all’overtime in un clima assurdo, con le proteste dei russi che vorrebbero validi i due punti di Valters. Lo stesso coach Gomelski, a partita conclusa, non esiterà a denunciare le impossibili condizioni ambientali in cui si giocò quella finale.

Overtime

Al Pireo sono tutti in piedi per l’inattesa appendice di un europeo vissuto in completa estasi. In tutto il Paese, i greci sono incollati al televisore. Galis apre con due dei suoi attacchi in penetrazione in cui è praticamente impossibile rubargli palla e manda in delirio il pubblico: 93-89. Ma Valters è un campione e risponde con estrema freddezza, due triple consecutive a punire altrettante palle perse in attacco di Christodolou, due banali infrazioni di passi e doppio palleggio, quelle cose che mai ti aspetteresti di fare in un momento del genere e che invece capita di commettere. Ancora una volta l’Unione Sovietica torna a condurre: 95-98, con due minuti da giocare.

Andritsos accorcia le distanze e poi Galis recupera palla e subisce fallo in contropiede: ogni volta che Nikos prende palla in campo aperto, il tifo esplode già prima di vedere come andrà a finire l’azione, una fiducia cieca nel messaggero degli dei. Galis fa bottino pieno dalla “linea della carità” e a 1’36” dalla fine la Grecia rimette la testa avanti: 99-98. Subito dopo arriva il primo vero segno di cedimento dell’Urss: Valters sbaglia entrambi i tiri liberi. Tirando in ballo ancora una volta il cinema e il pugilato, adesso la Grecia si sente come quando Rocky fa sanguinare per la prima volta il colossale Ivan Drago. Ce la può fare, non fa male. Dopo gli errori del lettone dalla lunetta, la Grecia prende il rimbalzo: in panchina tutti sono in piedi fino al limite del campo. Sentono la vittoria sulla loro pelle.

Nell’azione successiva Galis si inventa uno dei più bei canestri della storia, che porta i greci sul 101-98. Il play penetra dal centro, scarica in ala su Christodolou che entra in palleggio e fa arresto e tiro, ma in realtà è una finta e, ancora con i piedi in aria, scarica su Galis che nel frattempo si era “nascosto” nell’angolo tra la linea di fondo e quella dell’area dei tre secondi, un punto “morto” del campo da basket che spesso viene dimenticato dai difensori, ovunque. Galis riceve, salta a canestro, resta in elevazione per alcuni lunghissimi istanti ed elude le braccia enormi di tre sovietici, appoggiando il pallone nella parte alta del tabellone per farlo ricadere nel canestro. È il suo quarantesimo e ultimo punto della serata. Il palazzo esplode di gioia. Ma l’Urss non è disposta a cedere e Iovaisha gela tutti segnando la tripla del 101 pari. Mancano 36 secondi. Time out.

Olimpo

Uno striscione del pubblico, inquadrato dalle telecamere in un raro momento di pausa, inneggia alla candidatura olimpica di Atene 1996, poi vinta da Atlanta con i dollari della Coca-Cola. Ormai si vive su una nuvola, là dentro al “Pace e Amicizia”. I quintetti tornano in campo. Galis si avvicina in palleggio ben marcato da Valters, scambia con Andritsos, che dà palla a Ioannou. Il suo tiro non entra, ma sul rimbalzo offensivo spuntano le lunghe mani di Argyris Kambouris che afferrano il pallone. Arrivano due difensori russi, fallo. Di nuovo in lunetta.

Kambouris è quanto di più lontano possa esistere dalla definizione di “star” o di “talento naturale”. Ha una faccia da attore sfigato di filmetti anni ’80. Finora, come sua abitudine, si è mosso nel sommerso, facendo quelle cose che non finiscono sulle statistiche ma che sono fondamentali per vincere. Ora si ritrova sulle mani la palla che vale l’oro europeo. Tra quattro secondi suonerà di nuovo la sirena: ci sarà un altro overtime? O il campionato avrà una compagine trionfatrice? Una partita e una competizione di simile intensità non possono che finire così. Intorno al numero 7 ellenico l’atmosfera è vulcanica e mistica allo stesso tempo. Staff e giocatori in panchina non si trattengono più, Yannakis entra addirittura in campo a urlare qualcosa a qualcuno.

Kambouris tira fuori il suo eccezionale carattere. Primo libero perfettamente dentro, e braccia al cielo. Secondo anch’esso perfetto, e di nuovo braccia al cielo mentre torna in difesa, perché non è finita. Ma l’ultima preghiera di Iovaisha si infrange sul margine del tabellone: la Grecia è campione. I cordoni della sicurezza non ce la fanno a contenere la felicità dei tifosi, che si riversano in una festosa invasione di campo, mentre al di fuori dell’impianto inizia una lunga notte di folli festeggiamenti per le strade di Atene e di tutto il Paese. Hellas! Hellas! Hellas!

Grecia Argyris Kambouris
Argyris Kambouris, suoi i punti della vittoria.

Creato il precedente

Le divinità dell’Olimpo salutano il successo della Grecia e la vittoria alata piomba sul Pireo a posare la corona d’alloro sulla testa di Nikos Galis e dei suoi compagni d’avventura. Il trionfo nel campionato europeo di basket 1987 non è stata soltanto l’impresa di un piccolo ma granitico gruppo di cestisti, capaci tra l’altro di trarre un’enorme e determinante spinta dal fatto di giocare in casa, sospinti da un’orda di tifosi che non ha mai smesso di incitare la squadra. Quello straordinario successo ha fatto diventare la pallacanestro lo sport nazionale a tutti gli effetti, favorendo un’esponenziale crescita del numero di praticanti e del livello delle squadre di club. Senza dimenticare che l’europeo ’87 vide anche la prima vera e propria massiccia affluenza di pubblico che il basket abbia mai riscontrato e contribuì a far crescere il movimento di tutta Europa. In poche parole, si creò il precedente.

La passione popolare ha saputo trasformare una squadra normale in un manipolo capace di battere chiunque, perché non capita molto spesso che in questo sport i rapporti di forza siano sovvertiti con tale veemenza. La Grecia, d’ora in avanti, sarà sempre una delle nazionali più temute nel panorama continentale, anche se da quelle parti le imprese mitiche non saranno mai troppo numerose, forse perché altrimenti ne svanirebbe il ricordo e non resterebbero così impresse nel marmo.

E quando, diciotto anni dopo, la Grecia tornerà sul tetto d’Europa, nel 2005, a guidarla come allenatore ci sarà proprio Yannakis, ideale anello di congiungimento tra passato e presente: scorrono gli anni, cambiano i ruoli ma lo spirito battagliero è sempre lo stesso. L’anno successivo la Grecia vincerà la medaglia d’argento nel campionato mondiale, fermandosi solo di fronte alla fenomenale Spagna, ma non prima di aver eliminato addirittura gli Stati Uniti dei professionisti NBA. Se la Grecia non avesse vinto quell’oro europeo, in un 1987 ormai lontano, forse il basket ellenico non sarebbe diventato quel che è oggi.

Grecia 1987 vittoria basket

Galis, ancora

Già se ne è parlato molto, ma la conclusione di questo racconto non può che riguardare ancora una volta Nikos Galis e il suo pazzesco campionato. Le cifre parlano di 296 punti totali con una media di 37 a partita in oltre 40 minuti di utilizzo (a causa dei supplementari). Soltanto nel primo incontro è stato sostituito e non è mai sceso sotto i 30 punti personali. Tutto questo con un fisico normale, un altezza poco superiore al metro e ottanta e dovendo fare i conti in ogni istante con l’asfissiante marcatura dell’avversario. Segno di una grande capacità di resistenza fisica e mentale alle pressioni di ogni tipo che presenta una partita di basket di alto livello.

Inoltre, in quanto Galis non è mai stato un efficace tiratore dalla lunga distanza, la maggior parte dei suoi punti sono stati segnati da sotto canestro, grazie all’incredibile capacità di penetrazione, a un’intelligenza cestistica senza eguali e, non ultimo, un grandissimo carattere forgiato nelle periferie degli Stati Uniti prima e sui difficili parquet del campionato greco poi. Nikos Galis, insieme a un capitano come Panagiotis Yannakis che ha sempre saputo essere il leader senza mai offuscare o limitare il talento del suo compagno, è il simbolo della Grecia medaglia d’oro europea 1987. Un’impresa mitica.

Eh no, quello che accade in Grecia non può mai far rimanere indifferenti. Proprio no.

Chi ha tempo e voglia di rivedersi la finale completa tra Grecia e Unione Sovietica del 1987, ecco il video integrale che si trova su YouTube.

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