Aviva Stadium experience

Capisci molte cose dell’Irlanda, di Dublino e del rugby non appena sbuchi fuori dalla scalinata d’ingresso e l’Aviva Stadium si apre di botto davanti a te, con le sue ripide tribune e la perfetta visuale sul campo.

Alzi gli occhi e in alto passa, come un ottovolante, l’avveniristica copertura curvilinea. Li abbassi e vedi due squadre che si preparano alla battaglia, come avviene su quel rettangolo verde da centocinquant’anni. Il rugby, in Irlanda, è un rituale antico e attuale assieme: storia e futuro si compenetrano, quando gioca la nazionale del trifoglio.

Lansdowne Road, la via e anche il nome dello stadio prima delle esigenze di sponsorizzazione, si gioca a rugby dal 1876. Sotto la tribuna ovest transita tuttora una linea della ferrovia suburbana di Dublino e un tempo, quando l’impianto era quasi tutto in legno, il passaggio del treno faceva tremare le tribune. Poi, nel 2006, gli irlandesi hanno buttato giù il vecchio Lansdowne e in tre anni vi hanno fatto atterrare l’astronave dell’Aviva Stadium, che emerge imponente dalle schiere di casette in mattoncini rossi del quartiere di Ballsbridge.

Non siamo lontani dalle Docklands, la zona del porto una volta disagiata, ora interessata da recenti riqualificazioni urbanistiche e in cui sorgono le moderne architetture delle sedi europee dei giganti digitali, da Facebook a Google, tanto per dirne due, altro aspetto chiave dell’odierna Dublino in sospeso tra vocazione internazionale e la sua storica natura provinciale. Chiudo qui il rapido volo di gabbiano – ce ne sono parecchi, quassù – e torno al rugby giocato.

Aviva Stadium

Irlanda-Italia è una batosta epocale per gli azzurri: 58-15, nove mete subite, una prestazione priva di credibilità e costellata da errori inaccettabili a questi livelli. L’esperienza, però, è di quelle che andavano fatte, dopo anni di Sei Nazioni visti e vissuti a Roma, per avere un’idea in presa diretta di come funzionano le cose nei paesi in cui il rugby è una religione. E dove sanno costruire gli stadi. Intanto, quando non trovi neppure uno straccio di perquisizione all’ingresso, ti convinci che questo sport è davvero una festa, un’occasione di socialità. L’atmosfera è allegra ma tranquilla, all’Aviva Stadium. Lo speaker è molto meno caciarone del suo collega dell’Olimpico. Il pubblico di casa appare persino freddo. Forse per la scontatezza dell’avversario? Chissà, non ho adeguati termini di paragone.

In realtà per gli inni nazionali il discorso è diverso: Ireland’s Call, l’inno dell’Irlanda unita nel rugby, è tanto breve quanto coinvolgente, solenne, orecchiabile. Accompagnato da tamburi, riecheggia emozionante in tutto lo stadio, e poi la gente delle isole britanniche nel cantare in coro è sempre speciale. Viene da intonarlo anche a me, visto che conosco le parole. Per il resto del match, gran parte del pubblico assiste al match piuttosto in silenzio con la pinta di Guinness in mano, emettendo qualche ooohhh in occasione di giocate particolarmente dure ed esplodendo in un boato ogni volta (tante volte, troppe) che l’Irlanda va in meta.

Al termine degli ottanta minuti, nonostante la disfatta italiana, vorresti rimanere lì ad ammirare ancora l’Aviva Stadium, pervaso dalla sacralità di una grande cattedrale vuota, nei colori che contraddistinguono l’Irlanda: il verde dei prati e il grigio del cielo, e un po’ il rosso degli edifici, oltre la vetrata che separa le case dalla tribuna nord, che hanno dovuto mantenere piccola per motivi di spazio. E poi via, si esce dallo stadio confondendosi nel flusso intenso di spettatori che lasciano l’Aviva, sempre in un clima di grande rilassatezza.

Il tempo è fortunatamente primaverile. Il pubblico si riversa in un modo o nell’altro verso il centro di Dublino, dove per tutta la sera nei pub scorrerà birra a fiumi, si festeggerà la vittoria o si cercherà di lasciarsi alle spalle la sconfitta, in attesa della prossima partita, per vincere ancora o per riscattarsi. Ma non prima di aver assaporato fino in fondo tutto ciò che c’è intorno a una partita di rugby. Il terzo tempo va vissuto, che sia l’elegante ricevimento delle squadre o le pinte sui consumati tavoli di legno nella penombra di un vecchio pub. Perché il vincere o il perdere, nel rugby, non puoi viverlo diversamente, altrimenti questo sport ti stritola. La vita va avanti. Devi accettarlo. Quando passa il prossimo treno per Lansdowne Road?

Aviva Stadium

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