Film di basket: Amateur

Talento e lavoro duro non sono sufficienti. Serve qualcuno che conosca il sistema e lo muova a tuo vantaggio“: Amateur di Ryan Koo è un film del 2018 prodotto e distribuito da Netflix che torna a esplorare le pressioni a cui, negli Stati Uniti, un teenager promettente nel basket è sottoposto. E le pratiche, non sempre legittime, nelle quali viene coinvolto.

Una tematica che ha il suo punto di riferimento in He got game. Pur non raggiungendo neanche lontanamente quel livello artistico e contenutistico, Amateur aggiorna il tutto all’epoca attuale, in cui, ad esempio, questi ragazzi conducono una vita amplificata sui social dove condividono la loro quotidianità, pronti a soddisfare le già migliaia di fan che li seguono. E il momento decisivo del film ha a che fare con un’azione di questo tipo.

Terron, un amateur speciale

Protagonista è Terron Forte (interpretato da Michael Rainey Jr.), un quattordicenne afroamericano molto dotato nella pallacanestro che frequenta una scuola di periferia. Terron è affetto da discalculia, un disturbo che gli impedisce di comprendere qualsiasi numero. E durante le partite leggere il cronometro diventa un problema. Tuttavia se la cava piuttosto bene, dentro e fuori dal campo, nonostante la sua famiglia non abbia grosse possibilità economiche: sua madre Nia (Sharon Leal) è impiegata alla scuola e si preoccupa principalmente per l’istruzione del figlio, mentre il padre Vince (Brian White), non ha un lavoro stabile e non è del tutto a posto a causa dei troppi colpi alla testa subiti quando da giovane giocava a football (un evidente richiamo al film Zona d’ombra).

Vince punta molto a sfruttare il talento di Terron per spingerlo verso un college importante che possa aprirgli le strade della NBA e provvedere così a sistemare una volta per tutte la situazione finanziaria di casa. Riesce così a farlo incontrare con coach Gaines (Josh Charles), allenatore di una prep school privata che ha la fama di essere una “corsia preferenziale” per far arrivare i ragazzi a ottenere borse di studio per le migliori università. Gaines convince Terron, e sua madre, ad accettare la proposta. Ma una volta trasferitosi dalla vecchia scuola alla nuova, si ritrova in una realtà molto diversa da come l’aveva immaginata.

Quella prep school è infatti un posto in cui chi fa parte della squadra di basket non deve fare nient’altro. I giocatori vivono insieme in un dormitorio, saltano le lezioni, viaggiano in lunghe trasferte, oscuri personaggi gravitano intorno a loro, ricevono costosi regali e benefit che, secondo il regolamento dello sport giovanile americano, sono assolutamente proibiti. Amateur, infatti, significa “dilettante” ed è un termine che identifica lo status di tutti gli studenti-atleti di liceo o college. E come tali non possono ricevere omaggi di nessun tipo, neanche una bibita o un panino. Però tutti sanno che sottobanco avviene ben altro.

La grande ipocrisia

Dopo le iniziali difficoltà di ambientamento, tuttavia, Terron si afferma come uno dei migliori prospetti liceali della nazione. La discalculia continua a procurargli difficoltà in campo, ma il coach prova ad aiutarlo in tutti i modi. Anzi – e questo è un grosso buco narrativo del film – è un aspetto totalmente ininfluente sulla trama. Le cose cambiano dopo che, per intercessione del figlio, il padre Vince, rimasto senza lavoro, viene assunto da Gaines come scout. Dopo una partita importante, scoppia lo scandalo che svela un vero e proprio processo di mercificazione di questi giovani atleti che parte fin dalla famiglia. Ma, al contempo, si apre per Terron una strada che potrebbe condurlo a cambiare una volta per tutte le regole del gioco.

Al centro del film c’è il problema di fondo, ma anche la grande ipocrisia, con cui lo sport liceale e universitario degli Stati Uniti ha convissuto a lungo, almeno fino al recente arrivo del NIL. Le scuole e gli atenei fanno soldi attraverso lo sport e i loro atleti più promettenti. Introiti che però vengono interamente trattenuti dalla NCAA o dalle leghe scolastiche. E redistribuiti a tutti tranne che ai protagonisti in campo. Quando invece è proprio grazie ai giocatori che diventa possibile riempire le palestre e stipulare ricchi contratti televisivi. Un tema ben affrontato e spiegato da Michele Pettene in un articolo su l’Ultimo Uomo.

Amateur resta un soddisfacente ritratto della situazione, anche se a livello narrativo il film non “esplode” mai. E l’inattesa soluzione finale lascia parecchi dubbi, sia cinematografici sia morali. Infine, censura totale sull’orrendo doppiaggio in italiano dei termini tecnici: ci si chiede perché, quando si realizza la versione italiana di un film sportivo, non ci si procuri una consulenza adeguata.

amateur film locandina

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