Film di basket: Voglia di vincere

Voglia di vincere, titolo italiano di Teen Wolf, diretto da Rod Daniel, è anni ’80 allo stato puro. Uno spaccato della cultura di quel decennio che vanta schiere di nostalgici e affascinati seguaci.

La semplicità della trama, dei temi e della psicologia dei personaggi, con un tocco di fantasy quanto basta per renderlo particolare, ne fanno una rilassante commedia evergreen. Un film da guardare e apprezzare anche per chi è nato o cresciuto dopo gli Eighties.

Michael J. Fox è Scott Howard, un adolescente che cova dentro di sé il desiderio di emergere dalla monotonia della vita di provincia. Ma insicurezza e timidezza lo frenano, sia nello sport che con le ragazze. Nell’edizione italiana, Scott è ribattezzato Marty Howard. Perché? Semplice: il film, infatti, da noi è uscito nel 1985, subito dopo Ritorno al futuro. I produttori hanno così voluto sfruttare l’enorme popolarità ottenuta da Fox nei panni di Marty McFly.

La scuola, le feste, le commissioni per il negozio di ferramenta di suo padre, le bravate con l’amico Stiles: tutto scorre normale. Fino a quando Marty scopre di essere un licantropo e di trasformarsi, volontariamente o involontariamente, in una specie di lupo. Nonostante l’iniziale spavento, Marty scopre che il suo nuovo aspetto gli dà quel carattere e quel vigore che nella vita sociale e nello sport gli erano sempre mancati.

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Il basket in Voglia di vincere

Voglia di vincere è un film di basket, eccome se lo è. Quella pallacanestro così naïf, quasi parodistica, giocata da Michael J. Fox e compagni con la divisa dei Beavers della fittizia Beacon Town High School in Nebraska – anche se il film è girato in California – è capace lo stesso di catturare l’attenzione degli appassionati.

Addirittura Sports Illustrated, di recente, ci ha scherzato su ma non troppo redigendo un dettagliatissimo scouting del protagonista. Non solo: Shea Serrano, nel libro Basket (e altre storie), un must per veri intenditori, inserisce Marty Howard – alto 1,62 per 55 chili, ruolo ovviamente guardia – nel mirabolante capitolo In che ordine verrebbero chiamati al Draft i giocatori di fantasia.

Serrano lo chiama con un’onorevole dodicesima scelta, adducendo questa motivazione: “Non voglio la versione lupo di Marty Howard, voglio quella umana. Non c’è dubbio che da lupo avesse un gioco più esilarante, con le sue schiacciate da Harlem Globetrotter e le mosse in palleggio, e in più era un cazzo di licantropo che giocava a basket, ma il Marty in versione umana era un cestista superiore. Ecco le statistiche della prima partita del licantropo (l’unica in cui lo vediamo giocare per un tempo prolungato): 8/8 al tiro, 1 rimbalzo, 2 stoppate, 1 palla rubata e 1 assist. Queste sono quelle di Marty in versione umana: 5/6 al tiro, 4/4 ai liberi (inclusi i due della vittoria, effettuati in solitudine perché aveva subito fallo sulla sirena), 6 assist e 2 palle rubate”.

“Probabilmente  – conclude Serrano – ho visto Voglia di vincere una buona quindicina, ventina di volte e non ho realizzato che Marty in versione umana fosse migliore, fino a che non mi sono seduto a guardare il film per scrivere questo trafiletto, ovvero nel momento in cui ho trascritto le statistiche. Le statistiche spaccano. Le statistiche sconfiggono il licantropo (detto questo sarei perfettamente d’accordo se la versione lupo di Marty Howard si presentasse al Draft)”.

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L’illustrazione di Marty Howard nel libro “Basket (e altre storie)” di Shea Serrano.

We are all Beavers

Guardando il film, tutti ci siamo scoperti tifosi di Marty e dei suoi Beavers. Ci siamo ritrovati a sognare di giocare una partita decisiva e di avere in mano i tiri liberi della vittoria. E di mandarli a canestro, magari restando con il fiato sospeso mentre il pallone rimbalza “enne” volte sul ferro prima di entrare. Per poi lasciarci andare all’esplosione di gioia del lieto fine.

Seppur nella sua profondità da pozzanghera, Teen Wolf utilizza lo sport per lanciare messaggi non indifferenti. E lo fa con una semplicità che forse, oggi, abbiamo voglia di riscoprire vera, e non solo vuota e ingenua retorica da filmetto adolescenziale. L’idea che una squadra fatta di improbabili, se unisce gli intenti, da eterna perdente può migliorare e arrivare al successo. O che gli arroganti e gli antisportivi sono destinati alla sconfitta. Che “se ti ci metti con impegno raggiungi qualsiasi risultato”, tanto per citare Ritorno al futuro. Che la vita è fatta di decisioni importanti e quella più importante di tutte, a volte, è scegliere di essere se stessi.

In Voglia di vincere, è proprio il basket l’elemento attorno a cui ruota tutto. È sul parquet che Marty si trasforma in lupo e comincia a dare spettacolo. Il basket è la via d’uscita dall’insoddisfazione personale. È a basket, in un classico quadretto della vita americana, che Marty guarda giocare suo padre con l’amica del cuore Boof al canestro appeso sopra la porta del garage.

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Showtime a Beacon Town

Nel film, infine, i riferimenti al basket reale di quegli anni non mancano. La divisa gialla con bordi blu dei Beacon Town Beavers è un evidente richiamo al giallo-viola dei Los Angeles Lakers di Magic Johnson. La squadra che all’epoca dominava la NBA, alternandosi con i Boston Celtics di Larry Bird.

Così come il completo rosso con bordi bianchi dei Dragons, la squadra del bullo rivale Mick McAllister (interpretato da Mark Arnold), rievoca i Philadelphia 76ers, altro grande avversario dei Lakers nei primi anni del decennio. Il gioco dei ritrovati Beavers fa il verso allo Showtime dei Lakers di Pat Riley, quello stile supersonico e altruista caratterizzato da continua ricerca del contropiede e dell’assist spettacolare.

Nella finale, inoltre, si assiste a un fallaccio di Mick su Marty: come non ricordare, allora, i tutt’altro che infrequenti scontri nella NBA di allora? Come non ricordare il fallo di Kevin McHale su Kurt Rambis che fece svoltare le NBA Finals 1984, anno in cui, da agosto a dicembre, fu girato Voglia di vincere? Il grasso Chubby (attore Mark Holton) sfodera un goffissimo gancio cielo che va a segno, lampante parodia del gesto tecnico tipico di Kareem Abdul-Jabbar. Marty, infine, porta il numero 42 di James Worthy, altra colonna di quei Lakers.

E per finire, una curiosità: essendo Michael J. Fox assolutamente non dotato di fisico e talento da cestista, le scene in cui Marty in versione licantropo vola a canestro, schiaccia e tira fuori un campionario tecnico da paura, sono state realizzate con l’impiego di una controfigura. Si tratta di Jeff Glosser, già giocatore all’università di Loyola Marymount.

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