Libri di basket: “Clamoroso” di Gianmarco Pozzecco

Immarcabile, in campo e fuori. Clamoroso, sempre. Così è Gianmarco Pozzecco, ex popolarissimo giocatore di basket e attuale allenatore della Dinamo Sassari. E così si racconta nel suo libro autobiografico uscito per Mondadori.

Clamoroso. La mia vita da immarcabile (271 pagine, 18 euro), scritto dal Poz in prima persona insieme all’autore bolognese Filippo Venturi, contiene quarantotto anni vissuti ad alto ritmo. E costantemente accompagnati da una passione sfrenata, motore di ogni successo: la pallacanestro.

Perché è grazie alla palla a spicchi, e a un carattere unico e inimitabile, che un ragazzo dal fisico normale e senza le stimmate del predestinato è partito dalla provincia friulana e non si è mai fermato. Fino a diventare campione d’Italia, medaglia d’argento olimpica e soprattutto “il giocatore più amato della nostra pallacanestro“, come è definito nella bio del volume. Il tutto restando sempre se stesso, senza scendere a compromessi e senza perdere neppure per un attimo la voglia di giocare e di divertirsi.

Giocavo in C e dicevano che non potevo, perché ero troppo esile. – racconta Pozzecco riportando un’intervista rilasciata ai tempi dello scudetto con Varese nel 1999 – Sono passato in B e dicevano che non potevo dirigere una squadra a quei livelli. Sono andato a Livorno, ma avrei fatto solo della gran panca, perché lì, in serie A, quelli di due metri spesso sono americani e mi avrebbero schiacciato senza accorgersene. Sono arrivato a Varese, dove avevano giocato dei campioni veri, e chiaramente non era il mio palcoscenico. E poi, come ultimo pronostico: con me non si vince! Conosco il disco, ma adesso suono il mio. Ho vinto, e da protagonista. Sono un pagliaccio, ma sono il pagliaccio numero uno“.

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Foto tratta da TheOwlPost.it.

Pozzecco in campo e fuori

Il libro di Gianmarco Pozzecco è indubbiamente intenso. Come le sue partite. Narra, con ricchezza di aneddoti e particolari, tutta la sua vita a partire dall’infanzia a Trieste, lui goriziano trasferitosi da piccolo con la famiglia. Le prime esperienze fuori casa, il rapporto con il padre allenatore, la figura di Tullio Micol, suo primo coach, la gavetta nelle minors. Una corsa sfrenata, scalando le categorie, dalla serie D alla maglia azzurra, e vivendo fino in fondo ogni esperienza. Dentro e fuori dal campo, con una vita notturna movimentata – e anch’essa raccontata dal Poz non lesinando dettagli “intimi” – ma sempre con profondo rispetto degli altri e del gioco.

Pozzecco dice di non aver mai bevuto né di essere andato a divertirsi prima di una partita. E al di là di quanto il pubblico potesse scorgere in superficie, ha legittimato il proprio talento con elevate dosi di allenamento e lavoro duro: “La mia droga è stata sempre fare il culo a tutti su quel parquet che fa 15 per 28. Io mi sono divertito in quel rettangolo, e quello che facevo lì dentro mi ha concesso una vita a dir poco clamorosa“. Perché il Poz vuole vincere, ma a modo suo, divertendo e divertendosi. Emozionandosi per ogni vittoria e festeggiandola a dovere. Dai capelli rossi di Varese all’inchino ad Allen Iverson.

Tra un episodio e l’altro, in una full immersion negli anni gloriosi del basket italiano, c’è spazio per tante riflessioni personali. Gli stessi titoli di ciascun capitolo sono massime motivazionali – “Datti un obiettivo da perseguire“, “Rispetta, se vuoi essere rispettato“, “Credi sempre in te stesso“, “Sii coerente con le tue scelte“, “Lavora per i tuoi sogni, investi nelle tue passioni” e così via – che vanno a comporre un decalogo di 22 esortazioni ispirate dall’esperienza umana e professionale di Pozzecco. Insegnamenti che oggi, da allenatore e uomo in viaggio verso i 50 anni, cerca di instillare nei giocatori che allena.

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Foto tratta da WilliamHillNews.it

Provarci sempre

Nella sua autobiografia, Pozzecco in più occasioni riconosce quali sono stati i suoi errori. È consapevole che determinate scelte avrebbero potuto orientare la carriera in altro modo. Ma forse non sarebbe stato lui, il vero Poz fino in fondo. Sa di essere stato un giocatore pazzo e imprevedibile, probabilmente ingestibile, “prendere o lasciare”, ma di essere rimasto se stesso. Senza compromessi e mezze misure, che pure a volte, e a maggior ragione oggi che è allenatore, sono necessari. Ha giocato per emozionarsi ed emozionare la gente.

Pozzecco ha sempre messo al centro di tutto le relazioni umane, motivo per cui l’amore che lo unisce a Varese, Bologna e Capo d’Orlando, quelle che considera le sue tre città, non si spezzerà mai. Così come il rapporto con allenatori quali Dado Lombardi e Charlie Recalcati, che gli hanno dato spazio e fiducia quando giocava nelle loro squadre, perché in campo era felice solo se poteva avere libertà d’espressione: “Non dovevo e non potevo essere allenato da uno che non mi dava libertà e spazio. Questo l’ho sempre pensato: io volevo diventare l’allenatore che avrei voluto che mi allenasse“.

Da Clamoroso emerge la storia di un ragazzo diventato uomo vivendo il basket in ogni momento, sia nel giusto sia nell’errore, in maniera profonda e viscerale. E che si è goduto la vita che il suo status di atleta professionista gli ha consentito di fare. Pozzecco è una persona vera, non solo un tipo da notti brave che pur costellano il suo percorso, ma che sa cosa significa darsi obiettivi e sognare in grande. Dal suo esempio emerge l’insegnamento più importante di tutti: provarci sempre. Come quando si sbaglia un tiro e si ritenta subito, convinti di fare canestro, perché “s’impara solo in questa maniera. È così nel basket, come nella vita“.

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