Libri di basket: “Il favoloso Doctor J” di Michele Martino

Dopo importanti traduzioni di libri americani dedicati ad alcuni dei più grandi del basket – Roland Lazenby su Michael Jordan e Kobe Bryant, Kent Babb su Allen Iverson, Ethan S. Strauss sui Golden State Warriors – 66thand2nd ne aggiunge uno originale in italiano alla collana Vite inattese: Il favoloso Doctor J di Michele Martino.

L’autore delinea un ritratto completo di uno degli atleti più affascinanti della storia della pallacanestro. Julius Erving costituisce infatti l’anello di congiunzione tra il basket del passato e quello contemporaneo, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Le sue doti atletiche e l’innovativo stile di gioco, con uno strabiliante repertorio di salti, acrobazie e schiacciate, ha determinato l’evoluzione di questo sport in senso spettacolare.

Doctor J, soprannome nato scherzando con un compagno di scuola che Julius chiamava The Professor, è stato un personaggio cestisticamente a tutto tondo, in quanto ha toccato tutte le realtà americane del gioco: high school, college, ABA, NBA. In più, leggendari passaggi sull’asfalto dei playground di New York, su tutti Rucker Park. “È il pacchetto completo“, disse di lui Charles Barkley.

Il racconto di Michele Martino, molto ricco di informazioni anche su dettagli della vita privata di Julius Erving, è documentato da numerose fonti giornalistiche e bibliografiche originali di un’epoca in cui esistevano solo i giornali o al massimo qualche sporadica apparizione televisiva. Si riportano anche episodi di cui ci sono versioni contrastanti, cercando di trovare una sintesi più veritiera possibile.

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Foto tratta da Netsdaily.com.

Doctor J: da Long Island alle stelle

Il favoloso Doctor J si apre con un prologo in cui Martino descrive uno dei canestri più iconici di Erving: il reverse layup con cui, galleggiando in aria per un tempo incredibile, elude tre avversari dei Lakers durante le finali NBA 1980. Un movimento pazzesco, l’ideale conclusione di una parabola iniziata trent’anni prima, quando Julius nacque a Long Island nel 1950.

La sua è la storia di un ragazzo afroamericano della periferia di New York, al quale la scoperta del basket offre l’opportunità di conoscere il mondo esterno alle difficoltà del quartiere e di un’infanzia senza un padre. Grazie alla sua disciplina, e al fatto di essere un tipo sì taciturno e riflessivo ma molto sveglio, si tiene lontano dalle cattive compagnie e si impegna duramente nella pallacanestro, tra i campetti e le squadre scolastiche.

Attraverso lo sport, Julius Erving trova il modo di aprirsi una strada in una società che non ha molto da promettere ai giovani di colore. Lui si muove con intelligenza: nel basket organizzato è un affidabile giocatore di squadra, mentre nei playground dà sfogo alla sua infinita creatività. Quella creatività tipica dei neri, che però nei campionati dominati dai bianchi è soffocata da regole e schemi molto rigidi.

Oggi atletismo e spettacolo sono il sale del basket, ma un tempo non era così. C’erano limiti atletici e culturali che rendevano il gioco lento e compassato. Infatti, più che a scuola, Erving si costruisce una reputazione nello streetball. E anche il fatto di finire in un college defilato come Massachusetts non lo rende uno dei prospetti più desiderati. Però l’eco delle sue imprese sul parquet non può fare a meno di arrivare ai professionisti.

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Foto tratta da Forbes.com.

Julius Erving tra ABA e NBA

Un aspetto importante de Il favoloso Doctor J è l’interessante quadro sulla ABA, lega di cui Julius Erving divenne il simbolo, la stella assoluta, la gallina dalle uova d’oro. Vi trascorse cinque stagioni tra Virginia Squires e New York Nets, vincendo due titoli. Nel 1976, travagliata da costanti problemi economici che causavano continui trasferimenti di franchigie, confluì nella NBA con le sue quattro superstiti (Nets, Nuggets, Pacers, Spurs).

La ABA, in ogni caso, è stata un’importante fucina di innovazioni che poi la NBA, fino ad allora molto ingessata e puritana, decise di mutuare. In particolar modo, il tiro da tre punti e la gara delle schiacciate (Erving vinse la prima edizione). Ma non l’attraente pallone bianco, rosso e blu, che rimase nella storia come l’icona della ABA.

Fu in ABA che Doctor J divenne anche più famoso dei suoi colleghi che militavano in NBA. E nel 1972 fu al centro di un caso senza precedenti, conteso tra tre squadre di due leghe: i suddetti Virginia Squires, i Milwaukee Bucks e gli Atlanta Hawks (dove avrebbe formato una coppia da sogno con Pete Maravich). Inoltre, era già un giocatore molto contemporaneo in un particolare: sapeva come pensare ai suoi affari e alla sua immagine, non si faceva problemi a imporre la sua volontà, al di là di ogni contratto firmato.

Dopo il passaggio in NBA, Erving preferì contenere la sua spettacolarità e diventare soprattutto un giocatore di squadra. Un atteggiamento che però sembrò sacrificare le sue enormi potenzialità. Con l’arrivo di Larry Bird e Magic Johnson ritrovò motivazioni e condusse i Philadelphia 76ers al titolo del 1983, dopo aver perso le finali 1977, 1980 e 1981. Con Doctor J spettacolo e NBA si sono incanalati sulla stessa strada. Ha dimostrato che un giocatore dominante e spettacolare poteva anche essere vincente. E oltre a tutto ciò, avendo dovuto affrontare gravissime perdite familiari, la sua umanità è rimasta nel cuore di tutti.

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