Libri di basket: “I Golden State Warriors” di Ethan S. Strauss

Perché c’è Kevin Durant nella copertina di un libro sui Golden State Warriors, la squadra universalmente riconosciuta come quella di Steph Curry?

Perché I Golden State Warriors. La macchina della vittoria – titolo originale The Victory Machine – di Ethan Sherwood Strauss (ESPN, The Athletic), uscito nel 2020 e pubblicato in Italia nel 2021 da 66thand2nd (traduzione di Lorenzo Vetta), non racconta le solite meraviglie dei Dubs che si identificano nella faccia pulita del numero 30 o nell’easy mood di Klay Thompson.

Al contrario, è la storia di una spietata, insaziabile, darwiniana lotta per la sopravvivenza che solo un giocatore dal carattere difficile e spigoloso come KD può rappresentare con efficacia. Un mors tua vita mea che l’autore ascrive alla competitività sfrenata e narcisistica dell’intera NBA. Una lega dove, tuttavia, i Golden State Warriors sono riusciti a dominare per almeno mezzo decennio, con cinque finali consecutive e tre titoli tra il 2015 e il 2019. Ma a che prezzo?

Se il comune tifoso vorrebbe sentirsi sempre narrare dei record di triple o del gioco spumeggiante sprigionato sul parquet da questa straordinaria squadra, Strauss intende mostrare altri punti di vista, portando il lettore dentro la vera NBA e gli aspetti meno noti di una dinastia che ha comunque segnato profondamente il basket contemporaneo.

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Foto tratta da Eurosport.com.

I Golden State Warriors e la dinastia

È più difficile mantenere una dinastia che costruirla. Partendo da questo assunto, Strauss evidenzia le forze centrifughe che minano in ogni momento le fondamenta di un gruppo di successo, tramando contro quella coesione per impedirle di durare a lungo.

Se da un lato i risultati, le vittorie, gli anelli garantiscono una certa continuità a una squadra vincente e rendono i suoi membri ben disposti a mettere il “noi” prima dell'”io”, dall’altro sono proprio i trionfi ad alimentare pressioni, gelosie, individualismi. Oltre alle influenze esterne di un mercato che, mosso soprattutto dalla potenza dei brand di scarpe, spinge ogni giocatore a pensare solo al proprio interesse.

Dal libro I Golden State Warriors emerge quanto siano complesse le dinamiche che regolano la vita di una franchigia NBA e quanti fattori possano condizionarne il destino. In particolare, forte della sua esperienza di beat writer, Strauss si sofferma su figure come il proprietario Joe Lacob, l’allenatore Steve Kerr e il general manager Bob Myers, svelando nei suoi dettagliati report narrativi la natura di personaggi forse meno visibili all’utente finale ma di fatto gli artefici di questa “macchina da vittorie”.

È pur vero che all’atteggiamento sempre positivo e coscienzioso degli “Splash Brothers” Curry e Thompson, alla saggezza di Iguodala e all’intelligenza di coach Kerr dobbiamo la durevolezza e l’immagine pulita della dinastia Warriors. Ma sono stati l’arrivo, la permanenza e l’addio di Durant a mettere in luce i sottilissimi equilibri su cui ogni dinastia sportiva si mantiene. E le spiegazioni che non vorresti mai dare su come si fa a restare a lungo sulla cresta dell’onda in NBA.

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Ethan Sherwood Strauss / Foto tratta da Publicaffairsbooks.com.

Kevin Durant, o del successo senza gioia

I capitoli centrali sono dominati dalla presenza di Kevin Durant, il cui inserimento ha reso i Dubs una corazzata capace di vincere due titoli con nonchalance e di trascinarsi letteralmente su una gamba sola alle drammatiche Finals 2019 perse con Toronto. A quel punto, però, la dinastia sembrava già sull’orlo dello smantellamento.

Infatti, come risultato delle forze sopra citate, non c’era più coesione. Un gruppo diviso da contrasti interni e indebolito, soprattutto, da un fattore per Strauss fondamentale: la perdita della gioia, la tristezza che può accompagnare anche il successo sportivo. Uno stato di insoddisfazione ben incarnato dallo stesso KD, che lo spinse a lasciare la Baia senza che il resto del gruppo si svenasse più di tanto per indurlo a restare.

Nel suo libro, Strauss non fa altro che confermare, per esperienza diretta, ciò che da anni si dice su Durant. Probabilmente il più forte cestista al mondo, ma una persona fin troppo difficile con cui avere a che fare. Un uomo che non si fida di nessuno, che vede nemici ovunque, le cui brusche e volgari reazioni sono ritenute sintomo di un’insicurezza di fondo, retaggio dell’ambiente problematico in cui è cresciuto.

I Golden State Warriors si conferma come un tipico esempio della scrittura sportiva statunitense, favorito dall’elevato accesso ai media che là viene garantito. Forse Ethan S. Strauss indugia un po’ troppo su varie situazioni che forse non sono così rilevanti ai fini della comprensione globale dell’opera, ma il lavoro del giornalista californiano ci offre un prezioso viaggio nel cuore della NBA e dei particolari che hanno reso possibile la costruzione e lo smantellamento di una delle più grandi squadre della storia del basket.

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