Il Palasport Mario Argento di Napoli, storia di un rudere

I ruderi del Palasport Mario Argento: una ferita per lo sport e per Napoli. Una stonatura, ma anche un monito, nella città che ha ospitato le Universiadi 2019, beneficiando di un restyling di quasi tutti i suoi impianti sportivi. Quasi, appunto.

Il Palargento, infatti, è rimasto così com’era. In abbandono e in degrado. Escluso dai fondi stanziati per le olimpiadi universitarie svoltesi in Campania. Il Comune di Napoli, proprietario dell’area, ha annunciato che è vicino un accordo con investitori privati per ricostruire – perché ormai di ricostruzione si tratta – il glorioso palazzetto dello sport partenopeo. L’impressione, però, è che i tempi saranno ancora molto lunghi.

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La tribuna est del Palasport Mario Argento. In alto, la tribuna ovest.

Il Palargento oggi

L’impianto è chiuso dal 1998 e in rovina dal 2005. Un’alta inferriata arrugginita, infestata di vegetazione spontanea, circonda l’area. Siamo nel quartiere Fuorigrotta, non lontano dallo Stadio San Paolo. La zona non appare degradata, anzi. Qui si concentrano alcuni dei maggiori impianti sportivi della città.

Esattamente di fronte al Palargento, sull’altro lato di Viale Giochi del Mediterraneo, sorge il PalaBarbuto, ad oggi il principale palasport di Napoli. Un prefabbricato, tirato su nel 2003 proprio per ovviare alla chiusura del Palargento e appena ristrutturato. Poco più in là, la Piscina Felice Scandone, anch’essa rinnovata per le Universiadi. Negli immediati dintorni ci sono lo zoo di Napoli, il parco divertimenti Edenlandia, la grande area fieristica della Mostra d’Oltremare, parchi, cinema e teatri vari.

A causa dei lavori di ristrutturazione iniziati nel 2005, quasi subito bloccati e mai ripartiti, del palazzetto dello sport sono rimaste in piedi soltanto le due grandi tribune in cemento, speculari, sui lati lunghi di quello che una volta era il rettangolo di gioco. Il tetto, le piccole curve e le altre strutture sono state demolite: così oggi il Palargento si presenta come se fosse il rudere di uno stadio all’aperto. Quando era in vita, poteva contenere fino a 8000 spettatori ed era uno dei più grandi palazzetti italiani. Un’atmosfera particolare, cavernosa, calda d’estate e gelida d’inverno, in cui una città che a pochi metri da lì andava in estasi per Maradona non mancava di far sentire la sua passione anche nel basket.

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Veduta del Palasport Mario Argento oggi, dal cancello su Viale Giochi del Mediterraneo.

Palasport Mario Argento: la storia

Il Palasport Mario Argento, intitolato a un pionieristico calciatore, giornalista e dirigente sportivo napoletano, è stato inaugurato nel 1963 per i Giochi del Mediterraneo, come ricorda il nome della via in cui si trova. La prima partita di basket giocata qui fu Italia-Siria 78-49.

Nel corso degli anni ha ospitato varie discipline: la pallavolo, il pugilato con i match di Patrizio Oliva, il grande tennis con un torneo che portava a Napoli giocatori del calibro di Bjorn Borg, John McEnroe, Adriano Panatta, Ivan Lendl. È stato un punto di riferimento per la musica, con i concerti dei Genesis nel 1974 e di Antonello Venditti nel 1990. Per gli appassionati locali, tuttavia, il Mario Argento è stato la casa della pallacanestro, il luogo in cui la squadra cittadina ha vissuto alcuni degli anni più belli della sua storia.

Nel 1970 la Partenope Napoli, sponsorizzata Fides, conquistò qui la Coppa delle Coppe battendo i francesi del Vichy. Allenatore di quella squadra, che aveva gli americani Jim Williams e Miles Aiken, era il Paròn Tonino Zorzi. Come spesso la storia sportiva di questa città ha insegnato, a periodi gloriosi si sono alternate rovinose cadute: nel 1978 la Partenope, retrocessa in B, cedette il titolo al neonato Napoli Basket del vulcanico presidente Nicola De Piano.

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Quando a Napoli il tifo era anche per il basket.

Il Palargento, così, fu teatro di una risalita piuttosto veloce e dal 1987 al 1991 Napoli tornò a giocare in Serie A1, disputando i playoff scudetto nel 1989. Allenatori di quegli anni furono Elio Pentassuglia, Arnaldo Taurisano, Mirko Novosel, Ranko Zeravica, Mario De Sisti. Se da un lato De Piano non si faceva problemi a cambiare guida tecnica, dall’altro desiderava fortemente giocatori in grado di infiammare la folla, meglio se con trascorsi NBA: così nel 1989-90 portò in azzurro Walter Berry e l’anno successivo Mike Mitchell, amatissimo dai tifosi così come lo era stato a Brescia e lo sarà in seguito a Reggio Emilia.

Quell’anno, il 10 febbraio 1991, il Napoli Basket, sponsorizzato Filodoro, stravinse al Mario Argento un memorabile derby con Caserta, che poi avrebbe vinto lo scudetto: 91-65, con 22 punti e 12 rimbalzi di Mitchell, vincitore di un gran duello con Charles Shackleford. Tutto il palazzo a cantare ‘O surdato ‘nnamurato. E pensare che oggi sia Mitchell sia Shackleford non ci sono più, stroncati il primo da un tumore e il secondo da un infarto, poco più che cinquantenni.

La stagione 1990-91 si concluse per Napoli con la retrocessione in A2: un nuovo declino, fino al trasferimento a Battipaglia nel 1995 e allo scioglimento nel 1997. Nel frattempo, il parquet del Palargento tornava ad essere calcato dalla rediviva Partenope di coach Marcello Perazzetti, con Sergio Mastroianni playmaker, che nel 1997 riuscì a conquistare la promozione in Serie A2 e a salvarsi un anno più tardi, ma non a evitare il fallimento nell’estate 1998.

L’ultima partita di basket al Palasport Mario Argento fu disputata il 16 aprile 1998: Partenope Napoli – Puteoli Pozzuoli 82-73. Padroni di casa già salvi, ospiti già retrocessi: appena 500 spettatori sulle tribune ormai diventate smisuratamente grandi. Quella Pozzuoli che presto si trasferirà a Napoli dando vita ad alcuni anni di successi, culminati nella partecipazione all’Eurolega nel 2006. Ma tutto ciò avverrà al PalaBarbuto, non più all’Argento: il 6 giugno 1998 venne infatti disposta la chiusura dello storico palazzetto, per lavori di adeguamento antisismico.

Il progetto, anche per i sopraggiunti cambiamenti delle normative antisismiche, subisce ritardi su ritardi, varianti su varianti. Si decide per una totale ristrutturazione. I costi lievitano in maniera direttamente proporzionale ai rinvii e alle modifiche progettuali. Una storia molto, molto italiana. I lavori riescono a partire soltanto nel settembre 2005, quando le ruspe demoliscono l’intera struttura tranne le due tribune. Il cantiere si ferma nel giro di qualche settimana e non riapre più: il Palargento rimane così, mezzo demolito, e completamente in abbandono. E tale è ancora oggi.

 

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Il cartello del parcheggio del Palargento sembra ancora nuovissimo.

 

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Il Palargento di Napoli ai tempi d’oro / Foto: Wikipedia.
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