Una serata di basket d’estate a Rieti

Rieti, la piccola “Basket City” tra le montagne laziali. Dove la pallacanestro è orgoglio locale, fatto sociale, passione collettiva, tradizione da onorare.

Il PalaSojourner, il catino dal soffitto basso che gronda di storia, con le maglie ritirate di Roberto Brunamonti e di lui, Willie Sojourner, l’eroe sorridente dei tempi d’oro che con Rieti ha condiviso gloria e tragico destino, il banner della Coppa Korac vinta nel 1980, e quell’accoppiata di colori tanto inconsueta quanto affascinante, amaranto e celeste. Alle spalle del palazzo, il Terminillo, imponente, a proteggere la città come un centro di 2,15 fa con il ferro.

Fine agosto, una serata di caldo bestiale in Sabina. L’occasione è una tappa del College Basketball Tour, un mese intenso di NCAA in Italia. Parquet e sudore. Caldo torrido e frastuono. Northwestern University tiene a battesimo la NPC Rieti, ultima erede di quella che fu la Sebastiani, alla prima amichevole stagionale in vista della prossima Serie A2.

Northwestern, il college di Evanston, Illinois, dove si laureò Dan Peterson nel 1958 e dove oggi gioca Pete Nance, fratellino del più noto Larry Nance Jr. dei Cavs. Ma anche Pat Spencer, la stella del lacrosse che allo stick ha preferito la palla a spicchi, oppure Miller Kopp, talento purissimo. Si respira America, a Rieti, perché questa città sarà pure geograficamente isolata dal resto del mondo, ma nel basket non lo è affatto.

rieti palasojourner

Un migliaio di spettatori sono saliti a Villa Reatina, che sono meno di un terzo della capienza del PalaSojourner, ma qui rimbomba tutto. Guardano, tifano, chiacchierano, inveiscono, vanno e vengono, ma l’importante è esserci. Lo speaker è ispiratissimo e coinvolgente. Lo sport, e soprattutto il basket che è il culto con maggior numero di fedeli, dev’essere uno dei pochi svaghi. Lo capisci dal fatto che Rieti ti sorprende proprio con lo sport, la sua passione, i suoi impianti sopra la media.

Eppure a prima vista, così sportiva non ce la faresti, Rieti, quando arrivi e ti accoglie con il suo aspetto rural-montano e l’atmosfera da provincia dimessa. Ma basta fare un giro, toccando gli stadi di atletica, calcio, rugby, il PalaCordoni (l’originaria palestra del basket), il PalaMalfatti per il calcio a cinque, la piscina, e cambi subito idea. E te ne convinci definitivamente quando inizi a respirare l’atmosfera del PalaSojourner, con le gigantografie di Willie all’ingresso e quei monti dietro che fanno tanto Salt Lake City o Denver.

Seguo la partita in prima fila, dalla tribuna stampa. Davanti a me, incessante, scorre quella rapsodia, sempre uguale eppure sempre così unica, che i giocatori compongono con il pallone e il parquet. Bom bom bom bom. Il suono dell’arancia che rimbalza sulle assi di legno mi dà ritmo per scrivere. Quel suono che fece innamorare Kobe Bryant del Gioco. E Kobe proprio in questa arena, il PalaSojourner che allora non aveva un nome, ha mosso da bambino alcuni dei primi passi del suo cammino verso l’empireo del basket. Uno strumento, la palla, che suona in un’orchestra di giocatori, allenatori, arbitri, pubblico, speaker, tra grida, fischi, sirene del cronometro, ferri colpiti da tiri imprecisi e, sempre, quell’attimo di silenzio sospeso mentre la palla disegna la sua parabola in aria.

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Non è perfetto, il PalaSojourner. Come in diversi posti d’Italia, è un ormai vecchio impianto – anno 1974 – sorto in fretta e furia sull’onda dei successi sfrenati della squadra locale. Il parcheggio di fuori è tremendamente buio, il tetto sembra fatto di lamiera, i corridoi in nudo cemento. Ma il colpo d’occhio delle tribune è bello, e comunque molto meglio che in passato quando, mi raccontano, per anni non ci sono stati nemmeno i seggiolini. Ma è come deve essere un palasport che trasuda amore per il basket: caldo, chiassoso, dove la storia si fa sentire ma senza necessariamente essere costretti a vivere di ricordi.

La partita è interessante, anche se resta in equilibrio solo per metà. Poi i Wildcats di Northwestern – soprannome diffusissimo dalle loro parti – prendono il largo su una NPC in ovvia versione cantiere. Vincono 57-78. Impressiona sempre l’intensità delle squadre americane, scolastiche e universitarie, che mettono in campo fin dal primo esercizio di riscaldamento. Si fa sul serio, in ogni occasione.

Una squadra espressione di una delle città italiane più appassionate di basket di fronte a quella di un college USA che sembra uscita da un film: quanto basta per attirare i veri appassionati. Il pubblico è competente, apprezza anche le belle giocate avversarie e poi saluta, pensando già alla prossima partita. Il legame tra squadra e pubblico è fortissimo, solido, radicato. Questa sarà solo una serata d’estate, ma quando c’è di mezzo il basket, a Rieti, anche un’amichevole non potrà mai essere una serata qualsiasi.

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