Lo chiamavano “Plastic Man”: la storia di Stacey Augmon

Una delle caratteristiche più divertenti della NBA – tralasciando per un attimo gli aspetti concreti del gioco – è relativa ai nickname affibbiati ai giocatori, non sempre interpreti di prima fascia.

Guardando soprattutto agli ultimi due decenni del ‘900, certi soprannomi hanno contribuito alla fama di alcuni atleti, altrimenti destinati a passare sotto traccia. Uno di questi è Stacey Augmon, per quanto il suo “Plastic Man” lo abbia quasi penalizzato, secondo un certo punto di vista.

Ok, era un atleta incredibile, capace di offrire momenti di rarissimo spettacolo offensivo, ma dietro alle schiacciate c’era qualcosa di più: un giocatore solido, destinato a ricoprire il ruolo di comprimario di lusso per squadre con ambizioni evidenti. Il successo di un nomignolo immaginifico, nel suo caso, lo ha forse portato ad apparire meno efficace di quanto non fosse. Tutti si aspettavano azioni spettacolari da Augmon, ma lui vinceva le partite in difesa.

È così che dopo un ottimo avvio di carriera ad Atlanta, a “Plastic Man” viene chiesto di concentrarsi su particolarità meno evidenti, e nonostante ottimi risultati finisce ufficialmente nel dimenticatoio, scomparendo dagli highlights televisivi. Anche per questo, vale la pena ripercorrere la sua storia.

Stacey Augmon, da UNLV agli Hawks

Stacey Augmon ha disputato una carriera di particolare successo al college, giocando con quei Runnin’ Rebels di UNLV capaci di conquistare il titolo NCAA nel 1990, sconfiggendo alla Final Four i Blue Devils di Duke guidati da Christian Laettner e Bobby Hurley. In quattro anni passati a Las Vegas, sotto il controllo di coach Jerry Tarkanian, Augmon vincerà per tre volte il NABC Defensive Player of the Year, viaggiando attorno ai 14 punti, 7 rimbalzi e 2 recuperi per gara.

Durante la semifinale del 1990 contro Georgia Tech, realizza 22 punti per i suoi (dall’altra parte, inutili i 29 di un Dennis Scott che avremo visto a Orlando di lì a poco), mentre nella sfida decisiva chiude con 12 punti e 6 su 7 dal campo. Accanto a lui, giocatori come Larry Johnson (22 punti e 11 rimbalzi), Greg Anthony (13 punti e 6 assist) e un super Anderson Hunt da 29 punti totali. Quest’ultimo, a differenza degli altri, non verrà selezionato da nessuna squadra NBA in occasione del Draft 1991, finendo in CBA e collezionando qualche piccolo problema legale (verrà arrestato due anni dopo per possesso di marijuana), prima di giocare da professionista in Turchia, Polonia e Francia.

stacey augmon plastic man unlv

LJ viene  scelto con la prima scelta assoluta di Charlotte, Anthony finisce a New York con la dodicesima pick, mentre per Stacey si aprono le porte degli Atlanta Hawks, detentori della nona chiamata (originariamente dei Clippers). In quel tempo, la squadra della Georgia era reduce da un’uscita al primo turno dei playoff per mano dei Detroit Pistons, ma con l’aggiunta di Augmon conclude una stagione decisamente deludente: nona piazza di conference, problemi fisici per la stella Dominique Wilkins ed esclusione dalla postseason.

Il rookie da UNLV però non si comporta male, sfruttando gli spazi lasciati dall’assenza della star conclamata per metà della stagione, chiudendo con oltre 13 punti di media e facendo prevedere un ottimo futuro davanti a sé. Le sue avventure al ferro e la particolare predisposizione alla coordinazione aerea lo rendono onnipresente negli highlights delle sfide, facendogli guadagnare il soprannome di “Plastic Man”, intuizione particolarmente fortunata e destinata a regalargli eternità. Si tratta di quegli appellativi che difficilmente si dimenticano, forse anche troppo, tanto da alzare l’asticella delle aspettative su di lui.

Intendiamoci comunque, la squadra non è malaccio. Nei playoff del 1993 gli Hawks vengono spazzati via dai Bulls di Jordan, ma con l’arrivo di un ottimo playmaker come Mookie Blaylock, il reintegro di Nique e la solidità di Kevin Willis, Stacey Augmon può occuparsi delle piccole cose di contorno, trasformandosi in qualcosa di più che un preziosissimo comprimario. Anche perché – tralasciando l’altissimo coefficiente spettacolare – “Plastic Man” è soprattutto un signor difensore, e accompagnandosi con la rapidità di mani di Blaylock trasforma il back court di Atlanta in uno dei più pericolosi della Eastern Conference, per lo meno in metà campo di contenimento avversario.

stacey augmon plastic man portland trail blazers

Gli anni di Portland

Come già avvenuto nei quattro anni a Nevada/LasVegas, il minutaggio e in numeri di Stacey crescono progressivamente fino al campionato 1996-97, quando lascia gli Hawks per accasarsi dapprima ai Pistons, e poi a Portland durante una trade di metà stagione (in cambio di Randolph Childress e Aaron McKie). Qui, coinvolto in un progetto che punta in alto, il suo talento difensivo diviene fondamentale per i Blazers di Bob Whitsitt. Il general manager costruisce attorno a Rasheed Wallace un roster di talento, con giocatori come Damon Stoudamire, Bonzi Wells, Isaiah Rider e Jimmy Jackson: un gruppo di attaccanti strepitosi, ma non esattamente rinomati per saper fermare gli avversari. È così che due dei Runnin’ Rebels che fecero l’impresa, si riuniscono.

Greg Anthony arriva per coprire le spalle a Stoudamire, mentre Augmon rappresenta lo specialista capace di difendere almeno quattro posizioni, con quelle lunghissime braccia che si ritrovava. Nel giro di pochi anni, Portland aggiungerà a quel gruppo giocatori come Steve Smith, Arvydas Sabonis, Brian Grant e Scottie Pippen, per completarsi come uno dei migliori roster della lega.

“Plastic Man” raramente parte in quintetto, ma garantendo 16-20 minuti di sostanza ed imprevedibilità contribuisce a portare i suoi fino alle finali di conference. Anzi, più esattamente ad un quarto dall’ultimo atto, considerando la sconfitta subita in rimonta durante gara 7 del 2000 allo Staples Center, contro i Lakers di Shaq e Kobe. Dopo esser passato da Charlotte, New Orleans e Orlando, Augmon concluderà la sua carriera all’età di 37 anni, indimenticato per quel soprannome iconico e producendo quintali di highlights offensivi.

Ma nonostante tutto (e malgrado il nickname), il suo vero valore resta quello di mastino difensivo di alto livello, eccellendo in quella parte colpevolmente meno ricordata negli annali.

Condividi:

Comments are closed.