15 film di basket da vedere

Fare una selezione di 15 film di basket da vedere non è così arduo. Perché, togliendo i tanti documentari e i film troppo bambineschi o eccessivamente inverosimili, i titoli fondamentali per chi ama questo sport si riducono a quelli che seguono.

Quindi, per avere una cultura abbastanza completa su cosa rappresenta il basket, negli Stati Uniti ma anche in generale, la visione delle pellicole che propongo qui è assolutamente d’obbligo per un vero appassionato. Il rapporto tra cinema e pallacanestro è in ogni caso molto intenso, nonché contraddistinto da produzioni che hanno contribuito alla costruzione dell’immaginario cestistico globale.

Lo scenario è piuttosto variegato, per personaggi, vicende, ambientazioni. Ci sono film in cui recitano nomi importantissimi della palla a spicchi al fianco di star di Hollywood. Altri raccontano fatti inventati ma verosimili e ben esemplificativi di determinati contesti. Altri ancora portano alla luce storie vere, magari poco conosciute e meritevoli di attenzione. Si va dalle scintillanti luci della NBA all’asfalto dei playground, passando per l’atmosfera delle palestre scolastiche e del mondo universitario, sconfinando nella fantasia più pura.

Ecco allora le mie 15 scelte in fatto di film di basket da vedere, calibrate sia in base ai miei gusti personali sia in base all’importanza che tali film hanno avuto per la cinematografia sportiva e per la pallacanestro. Non è una classifica, anche se ammetto che He got game, Hoosiers e Rebound non li ho messi per primi a caso.

He got game

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Se si parla di film di basket da vedere, He got game è un must assoluto. A distanza di anni ancora mi sorprende con nuovi particolari, oltre a quelli già approfonditi. Mi piace definirlo un film “olistico” in tema di pallacanestro, perché dentro c’è tutta la hoop culture che puoi immaginare. New York, i playground, il basket delle high school. Una star NBA come Ray Allen insieme a una del cinema come Denzel Washington. Il tutto con Spike Lee alla regia, che ti sbatte in faccia anche i lati oscuri e meno edificanti del gioco (e di te stesso). Inoltre He got game è del 1998 ed è forte la presenza di Michael Jordan: un cameo, la statua di Chicago durante la stupenda carrellata di canestri nei titoli di testa e le Air Jordan 13 indossate da Denzel Washington. Soprattutto, il clima di spasmodica ricerca di un nuovo messia cestistico nel periodo in cui il suo ritiro dai Bulls è nell’aria. E del quale porta la croce, suo malgrado, il personaggio di Jesus Shuttlesworth.

Hoosiers – Colpo vincente

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Ho ben poco a che fare con l’Indiana rurale e conservatore degli anni ’50, ma Hoosiers è poesia. Seppur nel non felicissimo titolo italiano Colpo vincente, questo film resta una pietra miliare del cinema di basket. Fin dalla lirica intro in cui Gene Hackman/Norman Dale attraversa in auto le campagne dell’Indiana costellate di canestri a ogni fienile, Hoosiers è un inno alla pallacanestro e ai sentimenti. Chi ama il basket deve avere un po’ di Indiana dentro di sé. Lo stato dove questo sport è una religione, in cui anche vecchissime palestre come quella del film – che esiste davvero, si chiama Hoosier Gym ed è oggi una specie di museo – diventano santuari speciali. La storia è inventata, ma ispirata al famoso upset della piccola Milan High School campione statale 1954. E se anche gli Indiana Pacers scendono talvolta sul parquet indossando la divisa della fittizia Hickory, la scuola protagonista del film, qualcosa vorrà pur dire.

Rebound – Più in alto di tutti

rebound earl manigault

Non sarà un capolavoro, ma tra i miei film di basket preferiti Rebound ci finisce sempre. Mi affascina per la struggente storia di ascesa e caduta che racconta. Quella di Earl Manigault, il leggendario giocatore dei playground di New York dalla travagliata e inesorabile esistenza. Una storia che però, anche nei momenti più bui, lascia trasparire un barlume di speranza, accompagnata dalle note di There’s a place in the sun di Stevie Wonder. Mi piace ricordare che il film è uscito nel 1996 e quindi il vero Earl Manigault, il cui malandato cuore avrebbe ceduto due anni più tardi, ha fatto in tempo a vederlo. Il suo soprannome era Goat, e il gioco di parole che contiene – “capra” ma anche acronimo di “Greatest of all time” – se sei un basketball addicted devi conoscerlo. Don Cheadle ha interpretato Manigault nel primo dei due film di basket in cui ha recitato (il secondo è Space Jam. New Legends, venticinque anni dopo).

Coach Carter

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Coach Carter è lungo, due ore e un quarto. Ma forse pochi altri film ti portano così dentro il basket e l’America. Se vuoi ascoltare forte il suono della palla che rimbalza sul parquet e respirare a fondo l’atmosfera intrisa di sudore e odore di legno e gomma di una vissuta palestra scolastica, questo del 2005 è il film ideale. Intenso, penetrante, ti fa capire l’importanza di compiere un percorso di miglioramento, e che si tratti di sport o di qualsiasi altro ambito della vita la differenza non è molta. Un film educativo, direi, da far vedere nelle scuole al posto di un paio d’ore di noiose lezioni. L’intento dell’allenatore Ken Carter, interpretato da un pazzesco Samuel L. Jackson, è trasmettere ai suoi ragazzi l’idea che esiste un futuro migliore fuori dal ghetto. E che vincere partite non è tutto nella vita. Alla fine, però, il basket non si potrà mai togliere di mezzo, anzi è lo strumento migliore per arrivare all’obiettivo.

Glory Road

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Se cerchi un film di basket molto disneyano, che segua il ripetitivo ma sempre emozionante leitmotiv del lieto fine, Glory Road è l’ideale. Se non altro, perché racconta abbastanza fedelmente una delle più importanti imprese mai compiute su un parquet: la Texas Western di coach Don Haskins campione NCAA nel 1966 con un quintetto composto solo da giocatori di colore. Il film è uscito nel 2006, a quarant’anni da quello storico titolo. Il quale, tra l’altro, è l’unico intermezzo della dinastia di UCLA di John Wooden, che aveva vinto le ultime due edizioni e poi avrebbe trionfato senza sosta nelle sette successive. Glory Road unisce due filoni: la classica narrativa della squadra underdog che riesce ad arrivare dove mai avrebbe immaginato e la lotta contro un antagonista subdolo e diffuso come la discriminazione razziale, in particolare nel sud degli Stati Uniti degli anni ’60.

Space Jam

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Quando uscì, nel 1996, Space Jam non fece una grande presa su di me. Avevo già quattordici anni e l’interesse per i cartoni animati stava svanendo. E inoltre ero cresciuto a pane e Disney, non Warner Bros. Esperienza personale a parte, ciò non toglie che questo film a tecnica mista abbia avuto una profonda influenza su chi negli anni ’90 era bambino o teenager. Nel mito di Michael Jordan e in accoppiata con Bugs Bunny, ha avvicinato tantissimi ragazzi al basket in epoca pre-internet. La trama si basa sul ritiro di MJ nel 1993 per dedicarsi al baseball. Un tema affrontato ovviamente con leggerezza, nonostante nella realtà si inserisca in un periodo molto drammatico per il numero 23. Due parole sul personaggio di Stan Podolak, il goffo e zelante addetto stampa e tuttofare personale del protagonista: l’attore è Wayne Knight e per me lui sarà sempre e solo il viscido Dennis Nedry di Jurassic Park.

Rimbalzi d’amore

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Rimbalzi d’amore è il titolo italiano alquanto naïf di Just Wright. Ma nulla toglie che questo film uscito nel 2010 sia una gradevolissima commedia con protagonisti due rapper dediti anche alla recitazione: lui, Common, nei panni dell’immaginaria stella NBA Scott McKnight; e lei, Queen Latifah, nel ruolo di Leslie Wright, brava fisioterapista che finisce per innamorarsi del suo idolo. La trama è ben costruita e non così scontata. Voglio evidenziare due aspetti del film. Uno, il più lampante: il basket NBA fa da sfondo all’intera storia, con camei di vari giocatori e una sorprendente celebrazione degli allora poco glamour New Jersey Nets. L’altro aspetto è la forte mentalità americana che pervade il film e che meriterebbe di essere applicata in ogni ambito: la professionalità, dare sempre il meglio di sé, la ricerca dell’eccellenza, specializzarsi ed elevare il proprio livello per riuscire a combinare lavoro e passione.

Scoprendo Forrester

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Non è propriamente un film di basket, perché i temi prevalenti sono altri, come l’amicizia e le convenzioni sociali. Ma Scoprendo Forrester di Gus Van Sant, uscito nel 2000, è uno dei miei film preferiti in assoluto. Dentro, infatti, c’è proprio tutto quello che mi piace: il basket, la scrittura, New York, i taccuini. Protagonisti il grande Sean Connery, in un ruolo di rara intensità introspettiva, e un allora sedicenne e debuttante Rob Brown, che qualche anno dopo reciterà nel suddetto Coach Carter. Scoprendo Forrester narra dell’amicizia tra Jamal Wallace, liceale afroamericano del Bronx con un ottimo talento per il basket e una nascosta passione per la letteratura, e William Forrester, anziano scrittore che vive da anni recluso in casa. I due entrano in contatto e, dopo le diffidenze iniziali, si ritrovano reciprocamente d’aiuto nel fare i conti con dubbi, paure, aspirazioni e segreti delle loro vite.

Voglia di vincere

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Anni ’80 allo stato puro. Questo è Voglia di vincere, titolo in inglese Teen Wolf. E gli anni ’80 hanno l’inconfondibile volto di Michael J. Fox alias Marty. In questo caso Marty Howard e non McFly, anche se nella versione originale il suo personaggio si chiama Scott e non Marty: in Italia, sull’onda dall’enorme successo di Ritorno al futuro, uscito da poco nello stesso 1985, si preferì cambiare nome. Il film è lo spaccato di un decennio che vanta schiere di nostalgici seguaci. La semplicità della trama e dei personaggi, con un tocco di fantasy per renderlo particolare, ne fanno una commedia sempreverde. Non mancano messaggi comunque significativi, come l’importanza di impegnarsi per raggiungere un risultato e di essere se stessi. Un film da guardare anche per chi è nato o cresciuto dopo gli Eighties. A proposito, il gioco dei Beacon Town HS Beavers ricorda lo showtime dei Lakers, così come le loro divise gialle.

Chi non salta bianco è

chi non salta bianco è

Non è uno dei miei film di basket preferiti, ma è comunque una pellicola importante nella storia della cinematografia cestistica, uscita nel 1992. Chi non salta bianco è, trasposizione italiana non così malvagia (anche se piuttosto “da stadio”) del titolo originale White men can’t jump, è molto apprezzato dai cultori dei playground e di chi crede in uno streetball duro e puro, senza fronzoli, tutto asfalto, sudore e grinta. La storia che vede protagonisti Wesley Snipes e Woody Harrelson è ambientata a Los Angeles, in particolare sui campetti di Venice Beach. Qui, a rimarcare la prevalenza della sostanza sulla forma, i ballers ostentano un abbigliamento piuttosto anonimo e trascurato, con pochi elementi riconoscibili. In particolare spicca l’improbabile cappellino da ciclista del marchio italiano Colnago indossato da Sidney Deane, il co-protagonista del film, interpretato da Snipes.

Blue Chips – Basta vincere

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Ancora anni ’90 per un discreto film sul college basketball, rimasto negli annali più per le star NBA e NCAA che compongono il roster… pardon, il cast, che per la trama in sé. Blue Chips (Basta vincere), del 1994, mette al centro la questione del reclutamento illecito di giocatori da parte delle università americane. Nick Nolte interpreta Pete Bell, l’allenatore della fittizia Western University, che cede alle pressioni per ingaggiare in maniera illegale tre promettenti giovani in uscita dal liceo: nei loro panni Shaquille O’Neal, Penny Hardaway (che presto comporranno una stellare coppia agli Orlando Magic) e il meno famoso Matt Nover. Significativo il cameo di Larry Bird nel suo paesino di French Lick, in Indiana, mentre un altro leggendario elemento dei Boston Celtics, Bob Cousy, recita in una vera e propria parte, quella dell’athletic director della squadra.

Thunderstruck

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Una commedia giovanile, leggera e ideale per rilassarsi un’oretta e mezzo in famiglia. Thunderstruck. Un talento fulminante, film del 2012, propone un Kevin Durant ancora in maglia Oklahoma City Thunder nella parte di se stesso. E unisce il mondo del basket liceale con quello della NBA, senza nulla togliere all’uno o all’altro. Tra i cliché presenti nel film, c’è il filone dei superpoteri sportivi (già visto in Voglia di vincere) e quello della perdita del talento (come in Space Jam). Cosa che, quest’ultima, succede a KD a vantaggio dell’altro personaggio principale, il teenager Brian Newell, interpretato da Taylor Gray. Nei film sportivi preferisco sempre il realismo alla fantasia, ma devo ammettere che Thunderstruck è un film davvero piacevole. E dove l’elemento soprannaturale è abbastanza contenuto e ben inserito in un contesto verosimile.

High Flying Bird

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Tra i film di basket da vedere ne segnalo uno molto particolare, uscito su Netflix nel 2019 e interamente girato con un iPhone: High Flying Bird di Steven Soderbergh. È particolare perché di basket giocato non se ne vede. Infatti è ambientato durante un ipotetico lockout NBA e le estenuanti trattative tra proprietari dei club, associazione dei giocatori e agenti degli stessi. La storia, che vede protagonisti proprio una potenziale star e il suo agente, è ben costruita, anche se non è un film agevole per chi non conosce bene la realtà dello sport americano. Certi dettagli e sfumature sono davvero toste da afferrare per chi non è un insider, anche per via del ritmo incalzante dei dialoghi che scandiscono l’intera narrazione. Emerge tuttavia in maniera evidente quello che è il filo conduttore dell’intera vicenda: la volontà di ribaltare il sistema e di sovvertire regole ormai inappropriate. Una costante dei film di Soderbergh.

Tornare a vincere

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Passato un po’ sotto traccia in quanto uscito nel primo anno di pandemia, Tornare a vincere con Ben Affleck è una storia di caduta e riscatto attraverso il basket, anche se appare più profonda rispetto al classico cliché dei film americani di questo genere. Il protagonista Jack Cunningham è un uomo sconfitto che prova a rimettersi in gioco come allenatore di liceo. Una persona comune, un non-eroe, che sbaglia e lotta con i suoi demoni interiori, non sempre riuscendo. Il film mette in evidenza la vita di tutti i giorni di persone comuni di periferia, e Jack è una di loro. La NBA non è mai presente, è qualcosa di estraneo e lontanissimo, nessuno sogna le luci della ribalta. Eppure, se c’è un minimo di speranza, quella assume le sembianze di un pallone da basket. Una metafora della nostra vita e di come la competizione possa aiutarci a capire meglio noi stessi. Niente spoiler, però anticipo che la scena finale è commovente.

Space Jam. New Legends

space jam new legends

Se nel 1996, con Michael Jordan, Space Jam ha portato sul grande schermo il giocatore simbolo della sua epoca, così nel 2021 in Space Jam. New Legends (titolo originale Space Jam. A New Legacy) non poteva che esserci LeBron James, la star più rappresentativa del basket contemporaneo. L’ambientazione è un ipnotico universo virtuale, dove va in scena la sfida tra la Tune Squad e i “cattivi” della Goon Squad agli ordini di Al-G Rhythm, la malvagia intelligenza artificiale interpretata da Don Cheadle. I sequel possono piacere o non piacere, a me in linea di massima è piaciuto, a parte qualche passaggio rivedibile. Comunque questo Space Jam si presenta molto diverso rispetto al film degli anni ’90. La storia è incentrata più sul suo senso profondo (il rapporto tra padre e figlio) che sugli aspetti ludici. I due protagonisti, LeBron e Bugs Bunny, sono inoltre fin troppo dominanti, con il resto dei Looney Tunes solo “supporting cast”.

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