10 bellissimi soprannomi di giocatori NBA

Quali sono i migliori soprannomi di giocatori NBA? È senz’ombra di dubbio una scelta difficile, considerata la vastità del materiale da cui attingere. E sicuramente molto soggettiva.

Del soprannome di un atleta si possono apprezzare il significato profondo, la causa della sua origine, le emozioni e l’immaginazione che riesce a evocare. O semplicemente la musicalità e le assonanze con il nome reale.

I soprannomi di giocatori NBA sono una fonte inesauribile di storie all’interno della già fervida narrativa del campionato di basket più amato e seguito al mondo. Un nickname ben assestato, inoltre, può rendere celebre un giocatore e alzarne le aspettative ben oltre il suo reale valore e i successi che ha conseguito sul campo. In generale, però, nella pallacanestro i soprannomi sono un grande segno di rispetto. Come avviene, ad esempio, nei playground più rinomati quali Rucker Park.

Qui ho effettuato una mia personale selezione di 10 soprannomi di giocatori NBA, tra quelli che mi piacciono di più. Non è una classifica di merito, perché, come detto, sarebbe sia arduo che riduttivo. Inoltre ho deliberatamente escluso alcuni appellativi che, seppur affascinanti, sono diventati così celebri da fondersi del tutto o quasi con il nome del giocatore a cui appartengono. Parlo di Magic, Air, King, Legend, The Answer, Black Mamba, The Beard.

The Mailman (Karl Malone)

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Sarà che sono figlio e nipote di portalettere, ma The Mailman, soprannome di Karl Malone, mi ha sempre fatto brillare gli occhi. Il finalizzatore degli assist di John Stockton venne chiamato così per l’affidabilità e la regolarità con cui “recapitava” la palla nel canestro. Tranne quando, durante le NBA Finals 1997, mentre si apprestava in lunetta per due liberi decisivi, Scottie Pippen gli sussurrò: “The mailman doesn’t deliver on Sunday“. Il postino non consegna la domenica. Quel giorno era domenica e Malone li sbagliò entrambi.

Black Jesus (Earl Monroe)

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Soprannome mistico, che esprime fede assoluta non solo verso una stella del basket, ma verso il gioco. Gli appassionati, almeno in Italia, lo conoscono dal titolo del libro di Federico Buffa. E se hanno visto He got game, a un certo punto Jake Shuttlesworth/Denzel Washington spiega al figlio Jesus/Ray Allen perché lo ha chiamato così. Jesus come Black Jesus, il primo soprannome di Earl Monroe quando era ai Baltimore Bullets. E, a quanto pare, molto più libero di esprimere il proprio immenso talento rispetto al periodo ai New York Knicks.

Plastic Man (Stacey Augmon)

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Plastic Man, a pronunciarlo, è un nickname musicale, ma anche netto, deciso. Esprime solidità ed eleganza, proprio come lui, Stacey Augmon. Il comprimario di lusso degli Hawks e dei Trail Blazers anni ’90, quando gli Aqua cantavano “life in plastic, it’s fantastic“. Uomo di plastica, ma una plastica flessibile, benintesi. Perché Augmon era capace di allungarsi a dismisura e compiere giocate assolutamente atletiche e spettacolari, senza perdere coordinazione ed equilibrio. E ritornando ogni volta nella postura e nelle “dimensioni di partenza”.

Agent Zero (Gilbert Arenas)

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Non è un soprannome così profondo, Agent Zero. Ma rievoca le pazzesche prestazioni di Gilbert Arenas. Che resta, purtroppo, uno dei maggiori talenti persi per strada nella NBA contemporanea. Il significato di quello “0” è sempre bello: il numero di minuti che, secondo gli “esperti”, Arenas avrebbe giocato tra i professionisti. E da lui magistralmente usato come continua motivazione a dimostrare il contrario. Ma lo zero è anche il cronometro che si esaurisce, e i momenti clutch erano spesso di suo appannaggio. Poi è finita come è finita.

White Chocolate (Jason Williams)

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Ho un debole per il cioccolato bianco e quindi Jason Williams non poteva mancare in questa lista. Che spettacolo di soprannome per un giocatore spettacolare! Geniale, irriverente, imprevedibile. White Chocolate, perché quella roba da playground e da showtime di solito la fanno i giocatori con la pelle color fondente, non i visi pallidi piccoletti e con la lingua lunga. Forse l’inventore del passaggio di gomito non ha avuto la carriera che ci si aspettasse, ma un anellino al dito, con i Miami Heat nel 2006, è riuscito comunque a infilarselo.

The Alaskan Assassin (Trajan Langdon)

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Uno dei miei soprannomi di giocatori NBA, e di basket, preferiti in assoluto. Bellissimo ogni volta che il compianto Franco Lauro si infiammava ripetendo “l’Assassino dell’Alaska” durante le telecronache Rai della Benetton. Molto musicale, Trajan Langdon si guadagnò il nomignolo The Alaskan Assassin al college a Duke, per la quantità di triple che metteva dentro. In NBA ha avuto una carriera brevissima nei Cavaliers pre-LeBron, affermandosi poi in Europa con Treviso, Efes e CSKA. In realtà era nativo della California, ma cresciuto ad Anchorage dove il padre insegnava antropologia. Oggi Trajan è general manager dei New Orleans Pelicans.

Born Ready (Lance Stephenson)

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Quando si parla di soprannomi di giocatori NBA, è d’obbligo che almeno uno di questi sia nato a Rucker Park, dove se non ti guadagni un nickname non conti nulla. Born Ready è forte: denota sfacciataggine e, appunto, prontezza. E Lance Stephenson, che è pure di New York, da ragazzo non aveva molti altri mezzi se non il proprio talento per costruirsi una reputazione. Nato pronto: a fare sempre il culo a qualcuno nelle sfide sul cemento o nei camp giovanili. E un giorno al Rucker gli adulti, impressionati, lo ammisero a giocare con loro. Fu tra i migliori e lo speaker gli affibbiò Born Ready. Se lo tatuò sul braccio, e pazienza se poi la sua carriera sia stata piuttosto controversa.

Sam I Am (Sam Cassell)

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Sam I Am è un soprannome davvero particolare. Così come lo è Sam Cassell, quel playmaker con la faccia da alieno che iniziò la sua carriera vincendo due titoli NBA con gli Houston Rockets. Dicono che il nomignolo fosse una conseguenza del suo individualismo, ma mi piace pensarlo anche come espressione di orgoglio e fierezza. Dell’importanza di essere se stessi. Curiosità: Sam-I-Am è il protagonista di Prosciutto e uova verdi, un libro a fumetti di Dr. Seuss, poi cartoon, degli anni ’60. Nella versione italiana si chiama Nando detto Ferdi. Vai a capire perché.

Big Cactus (Shaquille O’Neal)

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Della pletora di soprannomi che vanta Shaquille O’Neal, quello che mi è rimasto dentro è Big Cactus, uno dei meno noti. Anche meno di Big Shamrock, cioè lo Shaq di fine carriera in maglia Celtics. Il motivo è semplice: simpatizzavo per i Phoenix Suns di Steve Nash, seppur l’arrivo di O’Neal in Arizona coincise di fatto con lo snaturamento e la fine del 7-seconds-or-less installato nel deserto da Mike D’Antoni. Big Cactus, un soprannome “territoriale” e che dà tutto il senso di dominio che O’Neal, anche se ormai piuttosto statico come uno di quei saguari del deserto, esercitava in area.

Half Man Half Amazing (Vince Carter)

vince carter

E non potevo che chiudere questa lista di soprannomi di giocatori NBA con un altro in qualche modo legato al Rucker Park. Intanto, Half Man Half Amazing, “metà uomo e metà meraviglia”, è fantastico. Poi, è uno degli appellativi di Vince Carter, forse meno famoso di Vinsanity e Air Canada ma sicuramente più affascinante. In realtà, nel mondo streetball apparterrebbe al leggendario Anthony Heyward. Ma visti i prodigi con cui Vince mandò in visibilio il pubblico di New York un giorno d’estate del 1999, al chiuso di una palestra del Bronx perché al Rucker veniva giù il diluvio, quel soprannome lo meritò pienamente anche lui.

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