Gli antenati del basket: cinque antichi giochi

Ci sono alcuni antichissimi giochi con la palla che si possono considerare gli antenati del basket. Al loro interno, infatti, compaiono elementi che si ritroveranno poi, ai tempi odierni, in alcune caratteristiche basilari dello sport che tutti conosciamo.

Della pallacanestro sono ben noti luogo e data di nascita, oltre che l’ideatore: James Naismith, 21 dicembre 1891, Springfield College, Massachusetts. Ma cosa c’era prima del basket che potesse somigliargli? Cosa può aver ispirato lo stesso Naismith a dar vita al gioco diventato così popolare in tutto il mondo?

Le origini del basket, e di tanti altri sport, si fondono con quelle dei giochi con la palla, presenti nelle antiche civiltà in tutto il mondo. L’inventore della palla è immerso nell’ignoto più profondo. Tuttavia giocare con oggetti di forma sferica è un tratto comune che, millenni prima di Cristo, univa popoli geograficamente molto distanti tra loro, tra i quali non potevano esserci punti di contatto.

Risiede infatti nei primordiali e più elementari istinti dell’uomo imprimere forza a oggetti rotondi, farli muovere con le mani, lanciarli, per gli scopi più diversi. O semplicemente per nessun motivo, tanto per farlo, per trastullarsi. Un primitivo vede rotolare un sasso, o un frutto, o un groviglio di foglie e rami, ed è indotto a calciarlo o tirarlo, contro o dentro qualcosa, magari seguendolo divertito con lo sguardo.

Giocare con la palla, vera o presunta tale, è una naturalissima attività umana. Basti pensare all’innata attrazione che i bambini hanno per essa, di qualsiasi tipo sia. Oppure all’istinto di calciare un oggetto tondeggiante, come un ciottolo o una lattina, in cui ci imbattiamo per strada. O ancora – e qui la vicinanza alla pallacanestro è più che lampante – al gesto di appallottolare un pezzo di carta e di lanciarlo nel cestino.

Esistono o sono esistiti, in epoche e civiltà estremamente diverse tra loro, almeno cinque giochi che potrebbero essere gli antenati del basket. Perché ciascuno di essi presenta analogie con uno o più gesti tecnici tipici di questo sport.

Pok ta pok

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Il pok ta pok (o pok’ol pok) praticato dai Maya, la civiltà precolombiana vissuta nella penisola dello Yucatan nell’attuale Messico, è considerato lo “sport” antico più assimilabile al basket. Il tratto comune è lo scopo del gioco: infilare una palla in un cerchio posizionato in alto rispetto alla propria testa. Tuttavia le caratteristiche sono molto differenti.

Non era un divertimento, il pok ta pok, anzi. Era una sorta di rito religioso, dai risvolti crudeli, con cui si rendeva omaggio agli dei e si risolvevano anche controversie politiche. Perdere poteva costare la vita: in certi casi, sembra che gli sconfitti venissero sacrificati, mentre i vincitori erano osannati come eroi e riempiti di ricchezze.

Su un campo rettangolare a forma di “i” maiuscola lastricato di pietre e delimitato da mura, lungo da 30 a 60 metri e largo da 8 a 10, si affrontavano due squadre composte da un minimo di tre giocatori ciascuna. Oggetto della contesa una palla in caucciù pesante almeno 2 chili, che doveva essere fatta passare in due anelli di pietra: i “canestri”, posti a circa 2 metri e mezzo di altezza, però in posizione perpendicolare al terreno.

Tutto qui? No, perché l’aspetto fondamentale era l’estrema difficoltà di segnare il punto. Ne bastava uno: chi segnava per primo, vinceva. Una partita, infatti, poteva durare l’intera giornata, o protrarsi per giorni. Come mai? La palla, ritenuta sacra, non poteva essere toccata con mani e piedi. Si potevano utilizzare solo gomiti, spalle, testa, fianchi, ginocchia. Servivano quindi inimmaginabili acrobazie per colpirla. Movimenti innaturali e pericolosi, a causa dei quali non era raro che ci si procurassero gravi infortuni, quando non vere e proprie menomazioni fisiche, o che addirittura si morisse sul campo.

Tlachtli

tlachtli aztechi

Oltre ai Maya, la civiltà più famosa fiorita nel cuore dell’odierno Messico era quella degli Aztechi. Presso di loro era in voga un gioco molto simile al pok ta pok dei Maya. Si tratta del tlachtli, conosciuto anche con il nome di ollamaliztli. Di esso esiste anche una definizione in termini moderni: palla mesoamericana.

Il sanguinario conquistador spagnolo Hernan Cortes, che sottomise l’impero azteca nella prima metà del ‘500, rimase sbalordito nell’assistere a questa pratica ludica assolutamente sconosciuta agli europei. Così nel 1528 deportò in patria un gruppo di aztechi dediti al tlachtli per farli esibire di fronte al re Carlo V.

Il campo somigliava a quello del pok ta pok: lungo 45 metri e largo 18. Le squadre erano composte ciascuna da dieci giocatori, ma il numero poteva variare. Obiettivo era far passare una volta la palla negli anelli di pietra, anch’essi analoghi ai Maya, su cui erano scolpiti simboli e motivi di carattere religioso. Nelle civiltà precolombiane dell’America centrale, infatti, la pratica del gioco era interpretata come parte integrante del ciclo della vita e la morte un viatico per avvicinarsi agli dei.

Anche presso gli Aztechi, proibito afferrare la palla con le mani o calciarla con i piedi: i giocatori indossavano protezioni di pelle in punti di contatto come gomiti e ginocchia. Molto arduo, quindi, andare a segno. E così era sufficiente un solo punto per vincere la contesa.

Duck-on-a-rock

duck on a rock

Il duck-on-a-rock, letteralmente “anatra su una roccia”, è il gioco che ha ispirato James Naismith a inventare il basket. Si tratta di un gioco per ragazzi della tradizione popolare canadese – Naismith era originario dell’Ontario – probabilmente arrivato oltreoceano dall’Europa, dove esisteva qualcosa del genere fin dal medioevo.

Non prevede una palla, nella sua versione originale. Consiste nel tirare un sasso per far cadere un altro sasso, detto duck, appoggiato sopra una pietra più grande o sul ceppo di un albero. Non è da escludere che questa pratica sia iniziata con qualcuno che si divertiva a prendere a sassate delle vere anatre… In ogni caso, vince chi per primo lanciando il proprio sasso colpisce il duck facendolo cadere dalla pietra grande e tornando al proprio posto senza essere toccato dal goalkeeper che lo insegue.

Il goalkeeper, infatti, si posiziona vicino al masso. Una volta colpito il bersaglio, l’autore del tiro corre a recuperare il proprio sasso per tornare sulla linea di lancio, mentre il goalkeeper deve prima rimettere al posto il duck e poi inseguire il tiratore. Se il tiratore viene toccato prima di essere riuscito a tornare sulla linea, ha perso e diventa lui il goalkeeper.

Cosa c’entra tutto questo con il basket? Ciò che colpì Naismith fu il fatto che il segreto del duck-on-a-rock non risiedeva nel lanciare con forza il sasso verso l’obiettivo, ma nel conferirgli una parabola arcuata. Quindi, prima ancora della forza, ad essere decisive erano la precisione e la grazia del gesto di lanciare. Esattamente quello che avviene quando si tira la palla a canestro. Inoltre, versioni successive del duck-on-a-rock previdero l’utilizzo di palle da baseball al posto dei sassi.

Urania

urania odissea palla alcinoo

Una delle più antiche testimonianze di giochi con la palla la troviamo nell’Odissea, il poema omerico che si fa risalire al IX secolo a.C. Nell’ottavo canto, mentre Ulisse racconta le sue disavventure alla corte di Alcinoo, re degli ospitali Feaci (forse sull’isola greca di Corfù), il sovrano a un certo punto fa esibire i figli Laodamante e Marino in una sorta di gioco-danza che prevede l’utilizzo di una palla color porpora.

Probabilmente si tratta dell’urania. Il gioco consisteva nel lanciare una palla più in alto possibile, saltare con grazia verso di essa e toccarla con la mano, prima di ricadere in piedi. Di solito si praticava in due e la palla poteva essere afferrata al volo oppure sospinta nuovamente in su con un tocco. Questa spinta verso l’alto, non ci fa pensare a quando due giocatori di basket si contendono il rimbalzo mentre la palla è ancora in aria, oppure alla palla a due di inizio partita?

Omero nei suoi versi ci dà il nome di chi fabbricò la palla in questione. Un certo Polibo definito “scaltro“, che con le sue sapienti mani realizzò una palla “elegante“. Probabile che si trattasse di una palla fatta di stoffe. La porpora, infatti, era una sostanza colorante derivata dalla secrezione di certi molluschi e molto diffusa nel Mediterraneo antico per tinteggiare i tessuti.

Nella stessa Odissea, canto sesto, c’è quella che forse è la più antica cronaca sportiva di cui si ha memoria: sempre sull’isola dei Feaci, la principessa Nausicaa gioca “a palla” sulla spiaggia con le ancelle. A causa di un passaggio mal calibrato verso una di loro, la palla finisce a qualche metro di distanza: mentre Nausicaa va a recuperarla, scopre Ulisse naufrago.

Pato

pato gioco argentina

Parliamo ancora di anatre: il pato, appunto “anatra” in spagnolo, è un antico gioco nato in Argentina, di cui si hanno notizie dal 1610. Il pato combina elementi del polo, sport molto diffuso da quelle parti, e del basket ed è tuttora praticato nella sua versione moderna, codificata negli anni ’30 del Novecento da Alberto del Castillo Posse. Nel 1953 il presidente Juan Peron lo ha dichiarato gioco nazionale argentino. La palla è di cuoio ed è caratterizzata da sei maniglie per agevolarne presa e passaggio da un cavallo all’altro.

Inizialmente, in maniera abbastanza crudele, i gauchos a cavallo si divertivano a passarsi tra loro un’anatra viva e a scagliarla infine all’interno di una sorta di canestro formato da un palo piantato nel terreno che sosteneva un cerchio metallico con retina, simile a un acchiappafarfalle.

Sostituita l’anatra con una palla, in seguito si continuò a giocare a pato ma le partite si facevano sempre più violente, tra morti per caduta da cavallo e risse con coltelli. Così le autorità proibirono il pato a più riprese: nel 1796 si giunse addirittura a negare il funerale cristiano a chi moriva giocando a questo “sport”. Il pato è stato l’antesignano del moderno horseball, simile gioco diffuso soprattutto in Francia e Portogallo.

Altri giochi

Anche in altre parti del mondo si ha notizia di giochi che hanno elementi in comune con il basket. In Mongolia era praticato il buzkasi, in cui i cavalieri delle tribù, divisi in due squadre, tiravano il corpo di una capra decapitata al centro di un cerchio tracciato sul terreno.

Meno brutale, in Indonesia, il sepakraka, in cui una palla leggera fatta di piume e fiore veniva lanciata attraverso un anello posto in cima a un palo addobbato di ghirlande. Qui troviamo una sorprendente analogia con le civiltà dell’America centrale. Era infatti vietato utilizzare mani e piedi ma solo spalle, fianchi e ginocchia.

Le fonti ci parlano di palle di stracci tirate in un secchio nell’Italia medioevale. Nell’antica Grecia, invece, c’era anche l’aporraxis. Tale gioco consisteva nel far rimbalzare una palla sul suolo, toccandola con la mano a ogni rimbalzo, più volte possibile, e vinceva chi fosse riuscito a far compiere alla palla più rimbalzi.

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