Hickory, Indiana

Il 6 novembre 2015 gli Indiana Pacers sono scesi sul parquet della Bankers Life Fieldhouse di Indianapolis per affrontare i Miami Heat in una normale partita di regular season NBA.

Un incontro divertente e ben giocato, vinto dai Pacers 90-87 grazie anche ai 36 punti della loro stella Paul George. Un ottimo spettacolo, considerando che la stagione era iniziata da pochi giorni e che le gare da disputare, in tutto, sono 82. In realtà, i Pacers avevano qualcosa in più. Qualcosa di assolutamente necessario da onorare. Ce l’avevano addosso. Una divisa di gioco speciale con scritto Hickory.

Quel 6 novembre, data di Pacers-Heat, è stata la prima Hickory Night e ha celebrato al livello più alto la fortissima passione e l’indissolubile legame dello stato dell’Indiana con il basket, attraverso la sua massima espressione cestistica: gli Indiana Pacers nella NBA. La classica punta dell’iceberg, e tra poco vedremo perché.

In tale occasione, e in seguito anche in altre partite nel corso della stagione, Paul George, Monta Ellis, George Hill, C.J. Miles e tutti gli altri Pacers hanno sfoggiato un’uniforme di gioco con canotta rossa a numeri e lettere gialle e pantaloncini giallo scuro, a imitazione di quella indossata dai protagonisti del film Hoosiers di David Anspaugh – tradotto, nella versione italiana, con un infelice Colpo vincente – di cui nel 2016 ricorre il trentesimo anniversario. Il film, ambientato in Indiana negli anni ’50 e con Gene Hackman nel ruolo dell’allenatore protagonista, racconta la storia della squadra di basket di un piccolo liceo di campagna, la Hickory High School, che, nella condizione di David contro Golia, riuscì incredibilmente a vincere il campionato statale primeggiando tra tutte le scuole dell’Indiana.

La pellicola di Anspaugh è liberamente ispirata allo storico successo della Milan High School, che conquistò il titolo di campione dell’Indiana nel 1954. Un evento che rimase marchiato a fuoco negli annali della pallacanestro locale e non solo. Perché in Indiana, come sono soliti dire, il basket è una religione. E non vanno pazzi più di tanto per la NBA, quanto per la pallacanestro liceale e universitaria, visto che negli Usa lo sport scolastico e dei college è quello maggiormente radicato nel tessuto sociale. Il nome Hickory apparso sulle maglie dei Pacers, seppur appartenente a una squadra di fantasia, rappresenta idealmente un intero stato: quel film uscito nel 1986, infatti, è un inno al basket e a una delle sue patrie, l’Indiana.

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Hickory, la squadra del film “Hoosiers” con Gene Hackman allenatore.

Hoosiers: un classico del cinema sportivo

Hoosiers è un classico del cinema sportivo americano. La vicenda narrata segue un tipico canone hollywoodiano: la storia di un gruppo di underdog, di sfavoriti che contro ogni pronostico riescono ad andare oltre ogni aspettativa e a ottenere un clamoroso risultato. L’episodio decisivo è ovviamente un canestro a fil di sirena, in cui il miglior giocatore della squadra si prende la delicata responsabilità dell’ultimo tiro al termine di una concitatissima azione, preludio all’apoteosi finale.

A guardarla bene, questa situazione è ben più di uno stereotipo. È il momento sognato da tutti i bambini quando giocano al campetto del quartiere oppure al canestro montato nel giardino di casa: immaginarsi in una grande arena, di fronte a migliaia di spettatori, durante la finale di campionato, trovarsi con la palla della vittoria in mano, segnare il tiro decisivo e lasciarsi andare a un’esplosione di gioia. Il sogno che ha spinto milioni di bambini in tutto il mondo ad amare questo sport, e che lo stesso Kobe Bryant non ha mancato di ricordare nella sua lettera di addio al basket.

Hoosiers, però, va oltre la semplice storia a lieto fine: è un vero e proprio manifesto della passione che praticamente ogni abitante dell’Indiana nutre per la pallacanestro, questo stato del Midwest caratterizzato da distese di granturco a perdita d’occhio. Il film è un must per gli appassionati del gioco, arricchito dalla minuziosa ricostruzione dell’America rurale anni ’50 ben resa dalla splendida fotografia autunnale. Il regista David Anspaugh, non a caso, è di Decatur, Indiana: quale migliore omaggio, allora, alla sua terra natia?

Torniamo un attimo agli Hickory Pacers. Da diversi anni la NBA, a fini di marketing, durante la regular season fa spesso scendere in campo le sue squadre con divise particolari, differenti da quelle ufficiali: completi celebrativi per occasioni precise, ad esempio mimetici per il Veterans Day, verdi per San Patrizio o “sperimentali” per il giorno di Natale, oppure riproduzioni di uniformi del passato, roba irresistibile per i fan più viscerali: cosa c’è di più cool della canotta vintage della squadra di cui si è fedelissimi sostenitori? D’altronde, si sa che gli americani nel marketing sportivo sono gli indiscussi numeri uno. Mai, però, una franchigia professionistica aveva vestito la divisa di una squadra immaginaria, che esiste soltanto nella fantasia di un film.

L’idea è nata nell’estate 2015 da una partnership tra la MGM e gli Indiana Pacers e, al di là degli aspetti promozionali, la divisa con scritto Hickory contiene in sé i valori immarcescibili del basket e dello sport che la squadra degli Huskers – letteralmente “spannocchiatori”, questo il nickname dei giocatori di Hickory in omaggio alla tradizione agricola locale – incarna perfettamente: il lavoro di squadra, l’attaccamento alla maglia e alla città, il rispetto dei ruoli e dell’allenatore, la determinazione e la voglia di vincere che ribaltano qualsiasi pronostico sfavorevole e rendono possibile il raggiungimento di traguardi che sembravano inimmaginabili.

La Hickory Night, in cui grandi stelle della NBA hanno indossato le divise di una squadra da cinema, è stata la prova più lampante di come un film sportivo ben realizzato possa, anche a distanza di trent’anni, rimanere impresso nell’immaginario collettivo e sviluppare ancora un orgoglioso senso di appartenenza in uno stato che vive di pallacanestro. Non resta allora che tuffarci nel cuore dell’Indiana e del suo basket, perché se Hoosiers è un film con nomi e personaggi inventati, la storia a cui si è ispirato è vera e altrettanto reale è il quadro sociale che descrive. Scopriamo qualcosa di più su entrambi.

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Il titolo di testa del film “Hoosiers”.

Hoosiers e Hickory: i significati

Hoosiers, e nient’altro. Colpo vincente lo accantoniamo: è una delle tantissime traduzioni italiane che stravolgono il titolo originale, finendo a volte per storpiare l’intero significato di un film. La parola “colpo” con il linguaggio del basket c’entra come i cavoli a merenda. Anche se Hoosiers al pubblico non esperto di palla a spicchi potrebbe suonare come una parola senza senso, il titolo doveva rimanere tale, perché quel termine rappresenta un intero stile di vita.

Cosa significa allora Hoosiers? Che, si badi bene, non è il nickname della squadra della Hickory High School, perché quello è il già citato Huskers, uno dei soprannomi delle squadre americane di ogni livello, spesso legati a peculiarità della città o del territorio che rappresentano. Hoosiers (la cui pronuncia è huushers, molto strascicato) è un vocabolo di incerta derivazione, oggetto di lunghi studi e dibattiti, con cui si identificano gli abitanti dell’Indiana, sportivi e non, utilizzato da oltre centocinquant’anni. L’Indiana è The Hoosier State, come è scritto sulle targhe automobilistiche, e Hoosiers sono pure gli atleti della Indiana University. Nella prima metà dell’Ottocento, i padri pellegrini in cerca di terra da colonizzare si imbatterono nelle tribù native, riferendosi a loro come hoosiers, parola con cui in certe zone, all’epoca, probabilmente si indicavano boscaioli, campagnoli o in genere persone rozze e grossolane. Una volta stabilitisi là, gli abitanti adottarono in seguito l’appellativo hoosiers in senso ironico, facendogli così perdere la sua connotazione negativa. Secondo l’etimologia più accettata, la parola hoosier deriverebbe da “Who’s here?” (uushier), il “chi va là?” con cui i coloni delle case di frontiera, avendo udito rumori sospetti fuori tra i cespugli l’erba alta, puntavano il fucile e lanciavano il grido per evitare di sparare a un familiare o a un amico. Quindi il titolo del film abbraccia idealmente tutti gli abitanti dello stato.

In Hoosiers, Gene Hackman è Norman Dale, un coach dal passato burrascoso. Per riscattarsi, accetta la chiamata di un vecchio amico, Cletus Summers (Sheeb Wooley), preside dello sperduto liceo di Hickory, che vuole affidargli la squadra della scuola. Per Dale, uomo di carattere che non scende a compromessi, questa è l’occasione buona per ricostruirsi una reputazione. I primi minuti del film valgono l’intera pellicola: la musica di Jerry Goldsmith accompagna dolcemente l’arrivo di Dale a Hickory a bordo di una vecchia Chevrolet, attraverso le campagne nebbiose punteggiate dal colore delle foglie autunnali.

L’immaginaria Hickory rappresenta al meglio i piccoli centri dell’Indiana, dove tutti sono appassionati di basket, dal sindaco al barbiere, dallo sceriffo al pastore, e tutti vogliono dire la loro e intromettersi nella vita quotidiana della squadra, anche perché in paese non c’è molto altro da fare. E alle partite la palestra è sempre piena. La scuola è piccola: appena 64 alunni, non il massimo per selezionare una squadra di basket decente, che infatti si limita a sette giocatori. Sarebbero otto, in realtà, se il migliore di loro, Jimmy Chitwood (interpretato dall’attore di origine lettone Maris Valainis) non avesse deciso di farla finita con il basket dopo la morte del precedente allenatore, che per lui era stato come un padre. Tornerà mai a giocare?

La storia è presto detta: dopo aver vinto l’iniziale diffidenza dei locali – “Qui amiamo poco i cambiamenti”, è una delle frasi con cui Dale viene accolto dai “notabili” del posto – e superato un momento difficile con tanto di votazione pubblica pro o contro il suo esonero, Dale riesce a creare un legame fortissimo con i suoi ragazzi e a imporre il suo metodo, basato soprattutto su fondamentali, preparazione fisica e difesa e su una forte idea collettiva, in cui i cinque giocatori devono essere una vera squadra, un blocco unico e compatto, in cui nessuno è indispensabile né più importante dell’altro. Il ritorno in campo di Jimmy sarà il punto di svolta, dal quale la squadra della Hickory High School non si fermerà più e arriverà fino in fondo.

La controparte femminile è affidata a Barbara Hershey, nei panni di Myra Fleener, una disincantata insegnante del liceo che finirà per innamorarsi del coach. Ma uno dei personaggi più riusciti è sicuramente Wilbur Flatch, noto come “Colpo in canna” (Shooter nella versione originale). Nel suo ruolo c’è Dennis Hopper, il mitico attore che “in Easy Rider girava il mondo a bordo di un chopper”, come cantava Caparezza. L’interpretazione gli vale una nomination all’Oscar. Se ne è andato nel 2010, a 74 anni, in Hoosiers era cinquantenne. “Colpo in canna”, oltre a essere il padre di Everett, uno dei ragazzi della squadra, è l’ubriacone del villaggio. In gioventù era stato una promessa del basket, ma in seguito a una delusione sportiva la sua vita aveva preso una parabola discendente ed era stato emarginato dal resto di Hickory. Nonostante i suoi problemi, ha una particolarità: è un vero esperto di basket, conosce a menadito pregi e difetti degli avversari, sa riconoscere le situazioni di gioco. Dale lo vuole come assistente, offrendogli una notevole possibilità di riscatto, a patto che smetta di bere: “Colpo in canna” accetta. Ce la farà solo in parte.

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Dennis Hopper – a sinistra – è “Colpo in canna”.

Questi i giocatori della Hickory High School in Hoosiers: 12 Merle Webb (attore Kent Poole), 13 Oliver Jones (Wade Schenck), 14 Buddy Walker (Brad Long), 15 Jimmy Chitwood (Maris Valainis), 21 Everett Flatch (David Neidorf), 25 Rade Butcher (Steve Holler), 43 Whit Butcher (Brad Boyle), 53 Strap Purl (Scott Summers). Coach: Norman Dale (Gene Hackman). I loro avversari nella finale del campionato portano i cognomi dei veri attori.

Triste sarà il destino di Kent Poole: morirà suicida a quarant’anni ancora da compiere, nel 2003. Un po’ come il personaggio di “Colpo in canna”, non aveva mai metabolizzato un suo errore in un tiro decisivo nella semifinale statale del 1982, di fronte a quattordicimila spettatori, quando giocava nella squadra della Western Boone High School allenata dal carismatico Howard Leedy. Avrebbe portato dentro di sé i demoni di quella sconfitta per oltre un ventennio, prima di congedarsi dal mondo appendendosi a una corda. Quando entrò nel cast di Hoosiers aveva ventitré anni e chissà se già allora, a tre anni dal suo tiro sbagliato, la subdola depressione avesse già cominciato a fare inesorabilmente strada nel suo animo.

Milan ’54, la vera Hickory

Sia chiaro, Hoosiers è un film di finzione. Seppur liberamente ispirato a una storia vera, non si tratta comunque di una fedele ricostruzione di vicende realmente accadute. Di veritiero, ci sono due elementi: lo scenario dell’Indiana rurale anni ’50 e la storia della piccola squadra che vince il campionato a dispetto delle sue dimensioni. E sono veri gli ultimi diciotto secondi della finale, perché con la Milan High School finì davvero così. Il resto del film, per esigenze di sceneggiatura, è stato inventato di sana pianta o quasi.

Non c’è nessuna Hickory in Indiana, non scervellatevi su Google Maps o su Wikipedia. Ne troverete una in North Carolina, un’altra in Mississippi, un’altra ancora in Oklahoma, addirittura due in Pennsylvania. La piccola Hickory, che lo sceneggiatore Angelo Pizzo colloca nella parte sud-occidentale dello stato, non esiste. Hoosiers è un omaggio al basket dell’Indiana nella sua globalità, che trabocca di squadre di basket soprattutto a livello liceale, di cui praticamente ognuna avrebbe una bella storia da raccontare: non si poteva sceglierne una a discapito di altre, creando inutili gelosie. Quindi, meglio ricorrere a un paradigma neutro, seppur fortemente radicato in quel contesto, in cui tutte le piccole scuole, spesso rivali tra loro, potessero riconoscersi. Il medesimo ragionamento ha indotto i Pacers a non optare per il nome Milan sulle speciali divise di oggi, ma a scegliere una squadra immaginaria che valesse per tutti. D’altronde, l’obiettivo del film non è mai stato aderire alla realtà storica, ma raccontare cosa significa il basket per l’Indiana e per il suo tessuto sociale. I fatti, invece, si svolsero così.

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La Milan High School, campione dell’Indiana 1954.

Nel 1954 la Milan High School vinse il campionato statale dei licei dell’Indiana. Il 20 marzo di quell’anno, nella finale disputata alla Butler Fieldhouse di Indianapolis, gli Indians della Milan (liceo di 162 studenti) sconfissero i Bearcats di Muncie Central (1662 studenti) con il punteggio di 32-30. Basket di un’altra epoca, senza l’obbligo dei 30 o 24 secondi per concludere l’azione né il tiro da tre punti. Mai una scuola così piccola era riuscita a diventare campione statale.

Milan è un paesino nel sud-est dell’Indiana che negli anni ’50 contava un migliaio di abitanti (oggi non sfiora neppure i duemila). Fondato nella prima metà dell’Ottocento e in gran parte popolato da coloni di origine tedesca, c’erano anche alcuni svizzeri, dediti principalmente alla viticoltura, che potrebbero aver fatto valere la loro influenza sulla scelta del nome, in quanto provenienti dalle zone coltivate a uva presso Milano, in Italia. Agricoltura e basket, non necessariamente in quest’ordine: ecco a voi l’Indiana.

Negli anni ’50 in Indiana la popolazione rurale era cospicua e la scolarizzazione delle campagne ancora giovane. Di conseguenza, all’epoca di high school con pochi iscritti ce n’erano parecchie e non era raro che facessero strada nel torneo, salvo poi fermarsi inevitabilmente nelle fasi regionali di fronte a scuole di città più grandi quali South Bend, Evansville, Gary, Terre Haute, Muncie o la stessa Indianapolis. E qui smontiamo subito un bel pezzo della “favola”: la Milan High School, alter ego reale della Hickory cinematografica, già nella stagione precedente (1952-53) era arrivata all’atto conclusivo, la final four.

Si può dire che quella era stata la vera impresa, dal momento che Milan non era mai giunta fin lì. Perse in semifinale con i Bears di South Bend Central (che nel film sono i finalisti). Quel nucleo di giocatori sarebbe tornato l’anno successivo con maggiore esperienza e aspettative di vittoria finale, comunque senza precedenti per una scuola così piccola. Però i giocatori di Milan non si ritrovarono affatto spaesati e intimoriti di fronte alla grandezza della Butler Fieldhouse, perché c’erano già stati! Memorabile infatti, in Hoosiers, la scena con cui coach Dale fa misurare ai suoi titubanti ragazzi l’altezza del canestro, mostrando loro che è tale e quale a quello di Hickory…

Il fatto è che gli sceneggiatori hanno dovuto fare ampio ricorso alla fiction, dal momento che la realtà effettiva non era molto… cinematografica. Non c’era così tanto di eroico e leggendario nell’impresa di Milan. E non fu neppure così difficile mettere su una squadra, perché il liceo era sì piccolo, 162 studenti (e non gli appena 64 del film), ma come normale nell’Indiana di allora erano quasi tutti “malati” di pallacanestro, tanto che quell’anno ben 58 dei 73 alunni maschi fecero le selezioni per entrare in squadra. Team che ne annoverava il massimo consentito, cioè dodici, mentre nella finzione i ragazzi in divisa gialla e rossa sono otto e per un periodo addirittura cinque contati. Quindi, Milan e non Hickory, Indians e non Huskers, 1954 e non 1952. La figura di “Colpo in canna” è completamente inventata, il vero Jimmy non si chiamava Jimmy ma Bobby e giocò tutte le partite, e il coach non era affatto un ultracinquantenne come Gene Hackman/Norman Dale. I colori della Milan erano giallo e nero, non giallo e rosso. A proposito la finale finì 32-30 e non 42-40: il cinema ha ingrandito un po’ anche il risultato.

La squadra di basket della Milan High School 1953-54 era allenata da due stagioni da tale Marvin Wood, laureato a Butler e con un periodo da coach a French Lick (il paese di Larry Bird). Aveva solo ventisei anni. Sposato, due bambini, ma di fatto un ragazzo che si allenava insieme ai suoi giocatori. Le cronache lo descrivono come un coach tranquillo, che grazie ai buoni risultati superò facilmente l’iniziale diffidenza della città. Questa si verificò perché chiuse gli allenamenti agli estranei, cosa che ritroviamo nel film, di fatto eliminando uno dei già pochi svaghi della città.

Wood rimase impressionato dal talento di quei ragazzi, tuttavia passò dal gioco rapido, il cosiddetto run-and-gun, a un più controllato cat-and-mouse, una sorta di 4 angoli e un pivot basato sulla circolazione di palla e sui continui passaggi all’uomo libero. I suoi assistenti, Clarence Kelly e Mark Combs, non bevevano alcolici. Inoltre c’era un cosiddetto “manager”, vale a dire il tuttofare che si occupa di asciugamani, borracce eccetera, Fred Busching, mentre nel film tali mansioni sono affidate al suo corrispettivo Oliver Jones, la schiappa della squadra, che però segna due tiri liberi decisivi, tirando il pallone dal basso “alla Rick Barry”.

E ancora, a differenza di quanto accade sul grande schermo, Marvin Wood non aveva preso il posto di un allenatore deceduto, perché il suo focoso e popolarissimo predecessore Herman “Snort” Grinstead era stato licenziato per aver ordinato nuove divise all’insaputa dei suoi superiori. Per la cronaca, il roster era composto da Ray Craft, William Jordan, Gene White, Ken Wendelman, Bob Wichman, Ron Truitt, Glen Butte, Bob Engel, Rollin Cutter, Roger Schroder, Kenny Delap e Bobby Plump. Su alcuni di loro c’è qualcosa da dire.

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Bobby Plump taglia la retina del canestro, lo “scalpo” della vittoria.

L’uomo dell’ultimo tiro

Bobby Plump – il Jimmy Chitwood del mondo reale – in Indiana è considerato un eroe. Mr. Basketball dello stato nel 1954, è inserito in una serie di quelle liste come “i 50 Hoosiers del secolo” o cose simili. Nato nel 1936 a Pierceville, è lui che segna il tiro decisivo, e l’ordine di prenderselo glielo dà coach Wood senza tanti fronzoli né troppa suspense. Ultimo quarto: sul 28-28 Wood ordina a Plump di fermarsi. Plump sta fermo palla in mano per oltre 4 minuti (ebbene sì) prima di tirare e sbagliare. Qualche azione dopo, sul 30 pari, la tiene ferma di nuovo per circa un minuto fino agli ultimi diciotto secondi, quelli che cambiano la storia.

Quella volta, in realtà, Plump non giocò una gran partita, ma ebbe il merito di segnare gli ultimi 4 decisivi punti. Le sue Converse All-Star sono esposte alla Indiana Basketball Hall of Fame di New Castle, al fianco di oggetti cult come i cimeli del mitico coach John Wooden, uno dei più grandi allenatori di sempre e originario anche lui dell’Indiana. Nella vita di tutti i giorni, perché chi ce la fa nel basket è soltanto un manipolo di eletti, Plump ha lavorato come assicuratore e ha gestito un ristorante, il Plump’s Last Shot a Indianapolis, nel quartiere artistico di Broad Ripple. Dopo il liceo si è laureato alla Butler University, ha giocato dignitosamente a livello di college e ha militato tre anni in una lega professionistica minore.

Non è l’unico della “classe ’54” ad aver qualcosa da raccontare. Ray Craft, che di quella partita fu invece il miglior marcatore, ha preso parte al film Hoosiers recitando nella parte dell’ufficiale di campo della finale. William “Bill” Jordan è diventato attore ed è ricordato nel ruolo del maggiore Jake Gatlin nella serie Project Ufo del 1977 e in due lungometraggi: The private file of J. Edgar Hoover del 1977, nel ruolo di John Fitzgerald Kennedy, e in un ruolo minore in Contact con Jodie Foster e Matthew McConaughey. Gene White fu insegnante di matematica e allenatore di basket al Franklin College. I cimeli della Milan High School, messi insieme ai memorabilia del film Hoosiers, sono conservati nel Milan 54 – Hoosiers Museum (www.milan54.org).

 

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Bobby Plump nel 2003.

Dopo aver concluso la regular season con 19 vittorie e 2 sconfitte, gli Indians non perdono più, superando imbattuti la fase zonale (sectional) e quella regionale (regional) e qualificandosi così per le semifinali statali alla Butler Fieldhouse di Indianapolis. Qui la squadra si trova di fronte agli Aztecs della Montezuma High School, avversario particolare non tanto per il nome ma perché sarebbe la vera… Hickory, un liceo di appena 79 studenti arrivato lontano, che però viene sconfitto 44-34 da una Milan trovatasi per una volta nella condizione di Golia e non di David e capace, inoltre, di invertire il pronostico “biblico”.

Nella partita successiva Plump e compagni battono 65-52 i Tigers della Crispus Attucks High School, guidati dalla futura star NBA Oscar Robertson, che vinceranno il titolo statale nei due anni successivi. L’allenatore è Ray Crowe, che ritroviamo da attore in Hoosiers come coach di South Bend Central in finale… E così la Milan High School si qualifica alla final four (ecco un’ulteriore discordanza con il film: non una partita secca, ma una finale a quattro, secondo la classica formula ormai da anni adottata anche in Europa).

Il primo incontro, corrispondente a ciò che siamo soliti indicare come semifinale, mette di fronte agli Indians la Terre Haute Gerstmeyer Tech, liquidata 60-48 grazie a una forte difesa che tenne il temuto Arley Andrews a soli nove punti. Quindi, la finalissima contro Muncie Central (in passato campioni per quattro volte), una battaglia punto a punto dai ritmi bassi decisa dal tiro di Bobby Plump, che nonostante una prestazione complessiva poco brillante va a segno con un preciso jumper da circa 4 metri. Il giorno successivo una folla di 40 mila persone piomba a Milan per festeggiare quella squadra, formando una coda di dieci chilometri sulla highway 101.

Oggi l’impresa degli Indians non sarebbe più possibile. Fino al 1997 l’organizzazione sportiva scolastica dell’Indiana (IHSAA, Indiana High School Athletic Association) prevedeva un torneo unico tra tutte le scuole dello stato, senza distinzione in base al numero di iscritti. Così il piccolo liceo di campagna poteva arrivare a competere con la grande scuola di città. Nel 1997, uniformandosi al resto degli USA tranne che al piccolo Delaware (dove le high school sono soltanto 56) e al tradizionalista Kentucky (279, ma solo una decina sono di grandi dimensioni), fu deciso di suddividere le oltre 300 scuole superiori dell’Indiana (all’epoca di Milan erano più di 700) in quattro categorie in base al il numero di iscritti, nonostante l’indignazione di molti.

Dopo il Milan Miracle, con il passare del tempo la popolazione agricola diminuì di fronte all’incremento dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione. Il tessuto sociale cambiò, le scuole più piccole chiusero e altre si fusero tra loro: delle 751 che presero parte al campionato 1954 ne sono rimaste meno della metà. Per questo la vittoria di Milan può definirsi straordinaria: non tanto perché fu un piccolissimo liceo a diventare campione statale, traguardo a cui era andato vicino l’anno precedente e che era un titolo a cui in realtà molte altre scuole erano in grado di ambire, ma perché fu un’impresa appartenente a un’epoca che non esiste più. Il numero di studenti della stessa Milan, oggi, è due volte superiore rispetto al 1954.

Da quella volta, nessun’altra scuola con meno 500 studenti ha più vinto il campionato, proprio perché di piccole scuole ce n’erano sempre meno, mentre intanto gli istituti di città erano diventati sempre più grandi, forti e strutturati. Ci riuscì solo la Plymouth High School nel 1982, con Scott Skiles, futuro giocatore e allenatore NBA, oggi alla guida degli Orlando Magic. Su YouTube, se a qualcuno interessa, c’è il video integrale.

… but this is Indiana!

In 49 States it’s just basketball, but this is Indiana, negli altri 49 stati è solo basket, ma questo è l’Indiana: è uno dei motti più in voga, da quelle parti. Torniamo un attimo ai giorni nostri. Ecco, se proprio si deve trovare un difetto ai Pacers attuali vestiti con le divise ispirate al film, è che gli atleti di oggi, con i loro muscoli scolpiti e tatuati e il loro look moderno, stonano un po’ dentro quelle divise vintage, a due colori, con pantaloncini di stoffa lucida (come se ne vedono, in Italia, nel campionato di Promozione…), indossate all’epoca da ragazzotti segaligni dalla pelle lattiginosa. Anche le cheerleader dei Pacers, nella Hickory Night, hanno indossato una divisa Hoosiers inspired, meno “scosciata” del solito ma comunque lontanissima dal maglione di lana e dalla gonna lunga ostentata dalle loro “antenate” di sessant’anni fa. E poi le scarpe di tela della Converse, i megafoni di cartone dei tifosi… quante differenze, ma anche quanto fascino!

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Paul George in divisa Hickory.

L’Indiana ha fatto la storia del basket. Il territorio di uno stato grande circa un terzo dell’Italia è disseminato di affascinanti palestre di high school, molte delle quali vecchissime, tante chiesette parrocchiali di una religione che ha i suoi santuari nei grandi impianti di Indianapolis, come la già più volte citata Butler Fieldhouse o l’attuale arena dei Pacers, datata 1999, costruita in uno stile retro’.

La chiamano Hoosier Hysteria: un’espressione che definisce lo stato di euforia collettiva intorno al basket in Indiana, precisamente al torneo dei licei, così come la March Madness è la “follia” primaverile di un’intera nazione in occasione del tabellone finale della Ncaa, il massimo campionato universitario. James Naismith, l’inventore della pallacanestro, ravvisò questa sfrenata passione già nel 1925, quando si trovò ad assistere a una finale scolastica di fronte a quindicimila tifosi scatenati. E nonostante il gioco fosse stato inventato da lui stesso a Springfield, nel Massachusetts, più tardi scrisse che “il basket in realtà ha origine in Indiana, di cui rimane il cuore pulsante”. Una passione simile a quella dei texani per il football, o per l’hockey su ghiaccio in Minnesota.

Le ridotte dimensioni dei centri abitati e delle relative scuole favorirono una diffusione del basket a macchia d’olio in tutto l’Indiana, dal momento che per formare una squadra bastavano cinque giocatori e tutt’al più, ma non sempre, cinque riserve. Il campionato liceale, già un secolo fa, contava centinaia di quintetti partecipanti. La prima compagine ad acquisire contorni mitologici fu la Franklin High School di Fuzzy Vandivier, vittoriosa per tre anni consecutivi dal 1920 al 1922: quei ragazzi passarono alla storia come i Franklin Wonder Five.

È sempre l’Indiana, ma in anni più recenti, a detenere il record di pubblico per una partita di high school: nel 1990, 41 mila spettatori assistettero a Bedford-North Lawrence contro Concord, all’Hoosier Dome di Indianapolis. E ancora in Indiana c’è la più grande palestra di basket liceale, la New Castle Fieldhouse, da 9325 posti: per avere un’idea, gran parte delle città italiane ed europee non hanno un palasport così ampio. La presenza di impianti sovradimensionati è infatti uno dei segni più chiari dell’importanza e della passione cestistica in Indiana: 18 delle più grandi arene di high school di tutti gli Stati Uniti si trova qui.

Ma l’attrazione più irresistibile per gli amanti del basket viene dalle palestre più piccole e antiche, un vero patrimonio storico dell’Indiana, con le loro architetture demodé, il parquet originale e altre particolarità oggi impensabili in un impianto sportivo, come il palco teatrale alle spalle di uno dei canestri. Centinaia di palestre, delle quali parte sono ancora utilizzate, altre sono state ristrutturate, altre ancora sono chiuse da anni oppure non sono più impiegate per lo sport. Molte, purtroppo, sono state demolite. Ce n’è una, però, che sta lì, ed è ancora stupenda.

The Hoosier & The Butler

Le location principali di Hoosiers sono i piccoli centri di New Richmond, nel nord-ovest dell’Indiana, e di Nineveh, nella parte meridionale dello stato, per quanto riguarda rispettivamente la cittadina di Hickory (come detto, è immaginaria) e l’edificio scolastico. La palestra in cui gli Huskers giocano le partite casalinghe è quella oggi chiamata, in omaggio al film, The Hoosier Gym. Si trova a Knightstown, nella Henry County, Indiana sud-occidentale. È stata costruita nel 1921 e usata fino al 1966. Oggi è un monumento al basket, uno di quei posti in cui un verace appassionato di questo sport potrebbe raggiungere il nirvana…

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L’esterno della Hoosier Gym a Knightstown, Indiana.

Nell’abitato di Knightstown, non lontano dalla storica U.S. Route 40, conosciuta come National Road, sorge una palestra storica e perfettamente conservata, costruita con gli sforzi della comunità locale per dotare la Knightstown Community School di un impianto per il basket. La prima partita di high school vi fu giocata fu il 25 novembre 1921: la squadra di casa perse 11-10 contro Sulphur Springs, ma per la prima gioia dovette aspettare solo una settimana con la vittoria al supplementare su The Indiana School for the Deaf per 20-18. Era stato tirato su un gioiello, che grazie ad alcuni ulteriori ampliamenti poté ospitare anche squadre di college e alcune squadre professionistiche delle prime pionieristiche leghe. Dopo quarantaquattro anni di onorato servizio, nel 1966 la palestra fu chiusa e la scuola locale ottenne la costruzione di una nuova struttura. Per vent’anni fu raramente utilizzata, fino a essere scelta per girare Hoosiers.

Ribattezzata The Hoosier Gym, oggi la palestra, gestita da un’associazione non-profit, è una sorta di museo visitato dai turisti appassionati di basket. Non solo: ogni mese di giugno ospita l’Hoosier Reunion All Star Classic, un torneo in cui i migliori giocatori liceali dell’Indiana scendono in campo indossando le divise in stile anni ’50 di Hickory e delle avversarie che compaiono nel film. In tale occasione, quindi, la palestra riprende vita e torna indietro nel tempo, con tutta l’affascinante atmosfera che si può facilmente immaginare. Per saperne di più c’è il sito www.thehoosiergym.com.

indiana hickory hoosier classic
Un momento dell’Hoosier Reunion All Star Classic. Il giocatore di colore sulla sinistra è Greg Oden.

La squadra di Hickory la si vede giocare nel film anche in altre storiche palestre: la piccola St. Philip Neri Catholic School di Indianapolis, costruita nel 1926, il College Avenue Gym di Brownsburg, che non era usata da trent’anni, il più grande Memorial Gymnasium di Lebanon, edificio da oltre duemila posti a sedere in cui dal 1962 al 1966 ha giocato Rick Mount, per essere dismesso un paio d’anni dopo. Chiaramente nella fiction sono stati cambiati i nomi di squadre e città, mentre invece nell’arena che ospita la finale c’è coincidenza con la realtà storica, perché sia la finale di Hoosiers sia quella di Milan sono state giocate nella Butler Fieldhouse di Indianapolis.

Inaugurata nel 1928, sorge nel campus della Butler University (molto presente nel film, tanto che la banda musicale che accompagna le partite ne suona l’inno) ed è il sesto palazzo dello sport più antico ancora in uso negli Stati Uniti, riconosciuto come National Historic Landmark (monumento di interesse storico nazionale). Oggi si chiama Hinkle Fieldhouse, dal momento che nel 1966 venne intitolata a Paul D. “Tony” Hinkle, in onore del coach di basket che fu alla guida dei Bulldogs di Butler per ben 41 stagioni. All’epoca del film poteva ospitare 15 mila spettatori, ristrutturazioni successive ne hanno ridotto la capienza a 10 mila.

indiana hinkle fieldhouse
L’esterno della Hinkle Fieldhouse, già Butler Fieldhouse.

Dicevamo di Butler. Anche a livello di college, l’Indiana annovera numerosi programmi di basket di successo o comunque di lunga tradizione, come Indiana University (a lungo allenata dal “sergente di ferro” Bobby Knight), Indiana State (l’alma mater di Larry Bird), Purdue (vi giocò John Wooden negli anni ’20). Butler non aveva un grosso pedigree, almeno fino al 2010. Quell’anno, sotto la guida di un coach con la faccia da studentello di nome Brad Stevens (in ogni caso aveva 34 anni), raggiunse a sorpresa la final four. Qui sconfisse Michigan State, per poi fermarsi nella gara per il titolo di fronte alla prestigiosa Duke University di Mike “Coach K” Krzyzewski. Un traguardo bissato nel 2011, anche se conclusosi con una nuova sconfitta, stavolta per mano di Connecticut. Ma Brad Stevens aveva messo Butler sulla mappa della NCAA e la qualità evidenziata dalla sua organizzazione non è passata inosservata: tre anni dopo Danny Ainge lo chiama nella NBA come head coach dei Boston Celtics.

Quando Butler raggiunse la final four per la prima volta, orde di tifosi si radunarono al Lucas Oil Stadium di Indianapolis, il gigantesco stadio del football, per seguire la partita su maxi schermo. In mezzo a quella gente, ospiti del governatore dell’Indiana, c’erano una decina di signori ultrasettantenni: erano Bobby Plump e la squadra di Milan High School del 1954, o almeno quelli ancora in vita. La passione popolare aveva subito collegato l’exploit di Butler, da sfavorita a finalista, a quella squadra scolastica che era rimasta nella storia.

L’Indiana ha dato i natali o ha lanciato alcuni dei più grandi giocatori e allenatori, di cui il sopra citato John Wooden, mitico allenatore di UCLA con dieci titoli nazionali vinti in dodici anni tra 1964 e 1975 e l’80 per cento di vittorie in carriera, e Larry Bird, cresciuto a French Lick e poi diventato la leggenda dei Boston Celtics, sono sicuramente i nomi più celebri. L’unica franchigia Nba dell’Indiana, i Pacers, non ha mai vinto un titolo: il massimo risultato sono state le finali conquistate nel 2000, con Bird allenatore, e perse con i Los Angeles Lakers. Ma presso la gente dell’Indiana la passione non è mai diminuita, ha sempre seguito i Pacers anche nelle annate più scarse, un pubblico esigente che sa riconoscere il valore di un giocatore o di un coach.

Per questo chiudiamo il cerchio ribadendo che per i Pacers di oggi indossare la divisa con scritto Hickory non è soltanto una fredda operazione di marketing, ma un’idea che punta dritto al cuore dell’Indiana e del suo stile di vita, in cui il basket è una componente fondamentale. Vestire la canotta ispirata al film Hoosiers significa accettare cosa rappresenti la pallacanestro per questo stato, rispettare valori come la dedizione, l’impegno, la passione, l’attenzione ai fondamentali e al modo giusto di praticare il gioco. Significa conoscere e onorare la storia di questo sport che ha accompagnato una buona fetta di storia americana e accettarne di esserne parte anche per il solo spazio di un canestro, o di un rimbalzo catturato, o un tiro libero segnato dal basso come fa il piccolo Ollie del film. E significa credere che, con tutto questo, le imprese sono possibili e i sogni realizzabili.

Ricordate il povero Kent Poole, l’attore purtroppo suicida che in Hoosiers interpretava Merle Webb? È proprio lui, negli spogliatoi prima di scendere in campo per la finale, che dice ai compagni: “Dobbiamo vincere per tutte le piccole scuole che non arriveranno mai fin qui”. Vinciamone una per tutti loro. Chiunque giochi a basket o faccia uno sport, con passione vera e dedizione profonda, può essere d’ispirazione per tanta gente. Grazie, Hoosiers.

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