Intervista a Idan Ravin, il trainer delle superstar NBA

Idan Ravin è uno dei più rispettati personal trainer dei giocatori NBA. Lavora o ha lavorato con i migliori della lega, tra cui le superstar più note, da LeBron James a Stephen Curry, da Kevin Durant a Chris Paul, e molti altri.

La grande competitività della NBA spinge gli atleti a lavorare incessantemente sulle proprie performance, per migliorare la tecnica individuale, mantenere la condizione e sviluppare il potenziale inespresso: per questo, oggi, i trainer rivestono un’importanza sempre crescente nel basket professionistico e alcuni di essi hanno raggiunto una certa notorietà.

Idan Ravin, nato a Washington nel 1971 (@idanwan su Instagram), ha però una storia molto interessante alle sue spalle. Perché il percorso con cui è arrivato al massimo livello, a sussurrare nell’orecchio ai più forti cestisti del mondo, è stato assolutamente inusuale.

Idan Ravin: la storia

Ravin non ha mai allenato al college o fatto l’assistente in NBA. Non è stato un giocatore oltre il liceo. È cresciuto in un ambiente tradizionalista che non dava importanza allo sport. E, una volta tagliato dalla squadra universitaria, seppur controvoglia ha iniziato a lavorare come avvocato.

Ma dentro di sé il fuoco della passione per il basket, che fin da bambino era il suo rifugio, non si è mai spento. Così ha iniziato ad allenare una squadra di ragazzini e poi, individualmente, alcuni giocatori di secondo piano conosciuti al college o nei playground. Idan, da autodidatta, scopre di essere portato a fare il trainer. Così, quando arriva l’opportunità di preparare Steve Francis per il Draft, inizia un’ascesa che lo porterà, da totale outsider, a diventare pian piano richiesto da tutti i maggiori nomi della NBA.

Nel 2016 ha narrato la sua sorprendente storia nell’autobiografia The Hoops Whisperer, uscita in Italia con il titolo A canestro per Baldini & Castoldi. Nel 2020 è stato autore di It Takes Patience, ancora non uscito in Italia, una storia per ragazzi in cui parla dell’importanza di trovare la propria voce per farsi strada nella vita.

Sembrava tagliato fuori da tutto, Idan Ravin. Ma, spinto dall’amore per il basket, ha dimostrato che con istinto, determinazione, fiducia in se stessi si può arrivare al vertice anche senza far parte dei “giri giusti”. Il suo messaggio è limpido: trova qualcosa che ti rende felice e impegnati al massimo per trasformarlo nel lavoro dei tuoi sogni. Intanto, in questa intervista a Never Ending Season, ci racconta cosa significa essere un trainer al top della NBA.

Idan, sei considerato uno dei trainer più rispettati. Lavori con alcuni dei migliori atleti al mondo e, oggi più che mai, la NBA è una lega che appartiene ai giocatori. Quale lezione trai dal loro sforzo per migliorare ogni giorno?
Sono stato fortunato ad aver allenato molti dei migliori giocatori di basket al mondo. Ho sempre detto che un conto è arrivare al top, un altro restarci. Ciò che LeBron ha fatto nel corso di 17 anni di carriera è assolutamente straordinario. Ogni anno, per ogni squadra e per ogni giocatore, il piano è fermarlo, e tuttora, in ogni partita, ogni stagione e ogni anno, lui vince questa sfida. Come LeBron ce n’è uno su un miliardo.

Nella tua opinione ed esperienza, qual è la chiave per guadagnarsi il rispetto di una superstar, il modo di farsi ascoltare da gente del calibro di LeBron, KD, Steph? Specialmente all’inizio della tua carriera, hanno mai pensato che fossi solo l’ennesimo fan che cercava di ottenere qualcosa da loro anziché aiutarli a migliorare?
Ottima domanda. Per me, si tratta davvero di credere nel mio “vangelo”, cioè nelle mie filosofie e strategie, che ho testato e applicato nel corso degli anni con più di una dozzina di All-Star NBA. Quando entro in palestra, ho fiducia che un giocatore che applica e interiorizza i miei insegnamenti vedrà un reale miglioramento nella sua performance.

idan ravin chris paul
Idan Ravin con un giovane Chris Paul / Foto: NBA.com

Nella NBA odierna, voi personal trainer avete un’influenza crescente. Sembrate quasi delle celebrità. Prima o poi, ti piacerebbe entrare nel coaching staff di una franchigia?
Accoglierei certamente un discorso del genere, di fronte alla giusta opportunità. C’è qualcosa di speciale nel far parte di una squadra e nel cameratismo che ne è associato. Anche le nazionali sono davvero interessanti.

Non urli mai ai giocatori durante un allenamento. Inoltre, i tuoi esercizi sono anticonvenzionali. Come definisci la disciplina per un atleta? Qual è la parte più importante nel processo di crescita di un giocatore?
Non rimprovero né punisco gli atleti. Se vogliono impegnarsi totalmente nel processo di crescita, raccoglieranno i loro frutti. Il mio obiettivo è aiutarli ad arrivare dove vogliono essere e dove non hanno mai immaginato di poter arrivare.

Segui una routine quotidiana nel tuo lavoro o procedi caso per caso? Quanto cambia il tuo lavoro in  stagione e in offseason?
Personalizzo tutto. Ogni giocatore è differente. Ad esempio, durante la stagione sono pienamente concentrato sul loro carico di lavoro e così ci teniamo più leggeri nel condizionamento.

Parliamo della tua educazione: sei cresciuto una famiglia ebraica conservatrice, al college non sei riuscito a entrare nella squadra di basket a Maryland, sei diventato avvocato e hai iniziato ad allenare ragazzi da volontario. Sei arrivato alla NBA attraverso un percorso indubbiamente inusuale: questo ti ha dato qualche vantaggio?
Altra ottima domanda. Poiché non ero al corrente di quella che fosse considerata la trafila standard, ho dovuto sviluppare le mie proprie filosofie, strategie, tecniche e competenze. Ciò mi ha richiesto di passare un sacco di tempo a insegnare a me stesso, a studiare. Ho quattro lauree, inclusi un dottorato, master e certificazioni avanzate.

Quando ti sei innamorato del basket? Qual era il tuo giocatore preferito?
Mi ci sono innamorato da ragazzino. Il basket mi parlava in modi che sono difficili da spiegare. Se chiedi a qualcuno perché ama qualcosa, probabilmente ti risponderà “Lo faccio e basta. È solo il modo in cui mi fa sentire“. Il mio giocatore preferito era sicuramente Isiah Thomas.

Qual è stato il momento di svolta in cui hai reso il basket la tua professione?
Quando ho capito che avrei potuto essere pagato per il mio lavoro. Anche se non è mai stata la mia intenzione farci dei soldi. Per tutta la vita, fino ad allora, avevo guadagnato facendo qualcosa che non mi divertiva, così l’idea di fare soldi con quello che avrei altrimenti fatto gratis non ha mai attraversato la mia mente.

A canestro (The Hoops Whisperer) è stato il tuo primo libro e nel 2020 ne hai scritto un altro, molto diverso: It Takes Patience. Di cosa parla? Qual è il tuo obiettivo?
It Takes Patience richiama i temi trattati nel mio primo libro. È un libro sul trovare la “nostra voce” attraverso la nostra stessa scoperta, fiducia in noi stessi, difficoltà, e creatività. È una storia sulla relazione tra una bambina, Patience, e sua nonna. E su come Patience trova la sua voce.

In questo difficile anno, non posso fare a meno di chiederti un ricordo di Kobe Bryant: che sentimento provi sulla sua scomparsa?
Straordinariamente triste. Era un uomo meraviglioso, motivante, impegnato, generoso, coraggioso, fuori dal comune. Il mondo ha pianto insieme, quando ha appreso della sua morte.

Definisci con un aggettivo questi giocatori: Lebron James.
Prodigioso.

Kevin Durant.
Magico.

Steph Curry.
Angelico.

Carmelo Anthony.
Profondo.

Chris Paul.
Presidenziale.

Blake Griffin.
Erculeo.

Jahlil Okafor.
Gentile.

JR Smith.
Incompreso.

Amar’e Stoudemire.
Avventuriero.

E ora, tre aggettivi per definire te stesso.
Anticonvenzionale, intuitivo, empatico.

Quali sono le tue passioni e i tuoi hobby al di fuori del basket?
Mi diverto a fare tante cose. Scrivere. Investire. Creare. Imparare. Evolvere.

Ti senti grato per ciò che hai ottenuto nella tua vita?
Sono grato per tutto ciò che ho e per tutto ciò che non ho, perché mi ha reso quello che sono oggi. Gli ultimi mesi mi hanno insegnato a trovare amore, gentilezza e gratitudine in ogni cosa: il nostro respiro, le amicizie, la salute, le difficoltà, la famiglia.

Per finire, quale consiglio daresti a un giovane che vuole trasformare la sua passione in un lavoro, nel basket come in ogni altro settore?
Diventa tenace nel tuo impegno. Ascolta la tua voce, ma impara a conquistartela. Ci vuole tempo a diventare veramente bravi. Investi su te stesso.

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Per maggiori informazioni su Idan Ravin: www.idanravin.com.

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