Nate Bjorkgren, dalla provincia profonda alla NBA

Nate Bjorkgren, allenatore degli Indiana Pacers al primo anno da head coach in NBA, una volta, mentre giocava a basket, si procurò una brutta ferita alla testa.

All’epoca era un adolescente di provincia nella squadra del suo liceo, la Storm Lake High School. Ruolo: point guard. Storm Lake è una cittadina di diecimila abitanti nell’Iowa profondo, lontana da tutto. E come migliaia di altre negli Stati Uniti, cos’altro di sano può offrire a un ragazzo se non appassionarsi allo sport? Quel giorno, durante una partita, in seguito a uno scontro di gioco Nate si ritrova tra le mani del sangue che esce copioso da una ferita al capo. Deve uscire dal campo: per oggi ha finito, sicuro.

Il disappunto è forte, perché Nate ama il basket all’inverosimile. Fosse per lui, giocherebbe su una gamba sola. Passa ore nel giardino di casa, a tirare al canestro montato sopra la porta del garage, nel più classico dei quadretti americani. A ripetere le giocate che vede fare in tv a gente come Magic Johnson, Larry Bird, Michael Jordan. È nato nel 1975, quella è la NBA con cui è cresciuto.

Il sangue non vuol saperne di smettere di uscire da quel taglio. Così suo padre Keith scende dalla tribuna, lo carica in macchina e lo porta al pronto soccorso più vicino. Ha bisogno di punti di sutura: detto fatto, una bella fasciatura ed ecco Nate impacchettato come nuovo, o quasi. «Papà, mi riporti in palestra? Devo finire la partita, hanno bisogno di me». «Tornare a giocare oggi? Stai scherzando?» No, Nate non sta scherzando. Il basket è ciò che lo rende felice. Keith lo riporta in palestra e coach Mark Hutcheson lo rimanda subito dentro. Nate vuole la palla: riprende il controllo del gioco e trascina la squadra alla vittoria.

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Foto: IndyStar.com.

Nate Bjorkgren e l’Iowa

È soltanto un aneddoto del Nate Bjorkgren teenager. Che però dice molto su due aspetti fondamentali grazie a cui è diventato quel che è oggi: la passione per il basket e il carattere forte. Elementi che lo spingono a lavorare duro e a dare tutto per questo sport. Ce n’è anche un altro: sognare in grande. La cosa più bella che un ragazzino possa fare. Il giovane Nate sogna la NBA, il massimo livello. Ma non è poi così bravo con quella palla a spicchi: nonostante la personalità e il buon talento, capisce presto che non ha chance di diventare un professionista. Per rimanere nel basket, sa che la sua strada è una sola: allenare. Ama il gioco, ha una spiccata indole comunicativa, ma il percorso, in ogni caso, non è agevole.

Finito il liceo, riesce ad andare a giocare al college a South Dakota. Uno dei giovani assistenti allenatori, con cui instaura un bel rapporto, è un certo Nick Nurse: nome da tenere a mente. Dopo due anni Nate Bjorkgren ritorna a casa, a Storm Lake, per finire gli studi in fisiologia dell’esercizio fisico alla piccola Buena Vista University. Una volta terminata la sua magra esperienza sul parquet, Nate può dedicarsi anima e corpo a inseguire il sogno di diventare coach. È disposto a fare tutta la gavetta che serve: accetta di ricongiungersi al suo vecchio allenatore di liceo, che lo prende come assistente alla Linn-Mar High School di Marion, altra cittadina dell’Iowa. Guida la squadra dei ragazzi al primo anno, cioè dei quattordicenni, e dà una mano alla varsity, la prima squadra.

Ottiene in seguito il primo incarico da head coach alla Sioux Central High School, nel minuscolo villaggio di Sioux Rapids. L’ennesimo posto in the middle of nowhere, nell’America sconfinata. La vita di Nate è scandita dal basket e non esce dai confini dell’Iowa. Sembra trascinarsi di palestra scolastica in palestra scolastica, di main street in main street di cittadine che sembrano tutte uguali. Ma giorno dopo giorno non rinuncia mai a metterci il massimo dell’impegno nell’allenare quelle squadre di piccoli licei senza pretese. Non solo: si prodiga per ogni necessità, come guidare il bus nelle trasferte o provvedere al cibo per i ragazzi. Sa che quei momenti in cui ti senti così lontano da dove vorresti essere hanno comunque un valore notevole. Ti fanno vivere il basket nella sua base essenziale e fanno parte del processo necessario ad accumulare esperienza che potrà tornare utile in futuro.

Foto: IndyStar.com.

Dai campi di mais al deserto

La realtà, però, è che a un certo punto comincia ad averne abbastanza. È pur sempre un giovane di 25-30 anni desideroso di vedere qualcosa in più del mondo. Non ha mai dimenticato i suoi sogni di bambino. Il grande basket. La NBA. Allenare là, prima o poi. Così, un giorno, comunica ai comprensibilmente scettici genitori che ha intenzione di togliere il disturbo e andarsene lontano. Stipa con le sue cose la sua auto e un rimorchio U-Haul e si lascia alle spalle il natio Iowa e i campi di granturco del Midwest. Direzione: il deserto dell’Arizona. Phoenix. La mossa a sorpresa di un ragazzo che finora non aveva fatto mai niente di imprevedibile. Laggiù ricomincia da zero, e non è facile. L’obiettivo, però, è sempre chiarissimo: diventare allenatore di basket.

Riesce ad aggregarsi a squadre liceali, distinguendosi ogni volta per passione, competenza, prontezza. Presto ottiene la guida della Cactus High School – un nome che è tutto un programma – di Cave Creek, sobborgo a nord di Phoenix in mezzo a lande che più desolate non si può. Ed è un successo: finalmente, lontano dal suo contesto passato, può esprimersi al meglio e ottiene risultati importanti, tra cui la nomina a coach dell’anno dei licei dell’Arizona nella stagione 2005-06. Anche lì replica l’atteggiamento con cui era apprezzato in Iowa: esigente e diretto con i giocatori, ma sempre leale e disponibile nei loro confronti. Guarda e studia partite di basket in continuazione. Ci mette il suo, di nuovo, nell’organizzare tutta l’attività della squadra. La sua enorme dedizione è segno di un profondo amore per la pallacanestro.

Foto: Shmuel Thaler – Santa Cruz Sentinel.

Nick Nurse, il maestro di Nate Bjorkgren

C’è però un richiamo forte a cui non sa resistere: quello dei suoi sogni. Nate vuole allenare ad alto livello, vuole i professionisti. Non lo ha mai dimenticato. Scorre così la rubrica del suo cellulare e si rimette in contatto, dopo tanto tempo, con un coach con cui aveva legato negli anni di South Dakota. E che nel frattempo aveva collezionato una serie di esperienze inusuali in Gran Bretagna, Belgio e minors USA: Nick Nurse. Esattamente lui. In fondo, che male c’è a sfruttare una vecchia conoscenza? I rapporti, in questo mondo, sono tutto.

È il 2007 e Nurse è appena diventato capo allenatore nell’allora D-League, agli Iowa Energy. Nate, che ha trentadue anni, gli chiede se c’è un posto nello staff. Certo che c’è, gli risponde Nurse, ma solo da volontario non pagato. In altre parole: aggregati pure alla squadra, ci darai una mano a fare una serie di cose, ma niente di più. Non il massimo, ma accetta senza pensarci. Come quella volta che mollò l’Iowa per cercare fortuna in Arizona, Nate si rimette ancora una volta in discussione facendo il percorso inverso e tornando nel suo Iowa, a Des Moines. Senza certezze: paga di tasca sua gli spostamenti, prepara i video, si occupa del pranzo per lo staff. Non si ferma mai, dà tutto se stesso. Di nuovo.

Nurse, originario dell’Iowa come Nate e che al pari di lui sa cosa significa fare gavetta, vede in quel giovane dalla testa calva e dal cognome nordico qualcosa che forse non ha mai visto in nessun altro: una volontà d’acciaio di diventare allenatore, che va al di là di ogni discorso di soldi. Dopo la prima stagione agli Energy, si libera un posto nello staff tecnico: per riempirlo, Nate viene promosso a pieno titolo. Finalmente entra a far parte a tutti gli effetti di un coaching staff di un club professionistico: una prima, consistente svolta verso la realizzazione del sogno.

La lega di sviluppo è in crescita e, per molti giocatori e tecnici, costituisce un valido trampolino per la NBA. Nate ha così modo di mostrare le sue capacità e insieme a Nurse pianta i semi di quel gioco che di lì a pochi anni sarà dominante: ritmi alti, spaziature, tiro da tre. Una volta entrato nel giro che conta, Nate non lo molla più. Dopo quattro anni di assistentato e grande affiatamento con Nurse, e un titolo di D-League nel 2011, la carriera di Bjorkgren prende forma: capo allenatore ai Dakota Wizards, quindi ai Santa Cruz Warriors, di nuovo agli Iowa Energy (al posto proprio di Nurse assunto dai Toronto Raptors) e quindi ai Bakersfield Jam.

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Foto: TheScore.com.

NBA: il sogno diventa realtà

2015: per Nate Bjorkgren arriva il salto in NBA. Il destino mette ancora l’Arizona sul suo cammino: i Phoenix Suns lo prendono come assistente di Jeff Hornacek, che gli affida anche la squadra di Summer League. Resta lì due stagioni.

Flashback a due anni prima: le finali di D-League 2013 vedono di fronte i Santa Cruz Warriors di coach Nate Bjorkgren e i Rio Grande Valley Vipers guidati nientemeno che da Nick Nurse. Vince quest’ultimo, che scherza ma non troppo con il suo ex pupillo e collega, nonché conterraneo, dicendogli: «Un giorno ci ritroveremo di fronte anche in NBA». Proprio dopo quella stagione, Nurse sarà assunto dai Toronto Raptors nello staff di assistenti di Dwane Casey (con Bjorkgren che ne prenderà la panchina agli Iowa Energy) e cinque anni più tardi ne diventerà il capo allenatore. Nel comporre il suo staff, si ricorda subito di Nate, che dopo l’esperienza di Phoenix raggiunge così il suo maestro in Canada.

La stagione 2018-19 è storica: il primo trionfo dei Raptors in NBA. E per Nate, dopo quello in D-League nel 2011, è il secondo titolo vinto insieme a Nick Nurse, che ormai si fida a occhi chiusi di lui, lasciandogli condurre allenamenti e sedute video. Al termine della stagione successiva, quella conclusa nella bolla di Disneyworld, arriva la grande occasione: un posto da capo allenatore NBA. Nate è scelto da Chad Buchanan, gm degli Indiana Pacers, per sostituire l’esonerato Nate McMillan. Il profilo è quello giusto per la franchigia di Indianapolis: carattere forte, esperienza vincente, doti da comunicatore e, soprattutto, idee di gioco innovative per una squadra già buona ma che vuole entusiasmare di più.

La storia di Nate Bjorkgren, coach degli Indiana Pacers, è quella di un ragazzo diventato uomo inseguendo il sogno di diventare allenatore di basket ad alto livello. Ha percorso tutti gli step necessari, mettendo a frutto contatti e conoscenze accumulati durante il cammino e guadagnandosi il rispetto con passione, carattere, lealtà e duro lavoro. Ha lasciato la provincia profonda per crescere e migliorarsi altrove, senza mai fermarsi. Ci ha creduto fino in fondo. Non ha mollato mai, come quella volta che da ragazzino dovette uscire dal campo con un taglio alla testa, ma si fece mettere i punti di sutura e tornò a giocare come se niente fosse. Trent’anni dopo, a 45 anni, Nate Bjorkgren è il nuovo allenatore degli Indiana Pacers.

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