10 curiosità sulla NBA G League

La NBA G League, negli ultimi anni, ha acquisito una crescente importanza nel panorama del basket professionistico americano.

Sempre più giocatori, allenatori e dirigenti NBA si sono fatti le ossa nella lega di sviluppo, maturando esperienze importanti e affinando le proprie abilità per essere pronti alla sfida ai massimi livelli. E alcuni di loro sono definitivamente esplosi al top, mettendosi al dito l’anello di campioni, come nel caso di Nick Nurse e Fred VanVleet ai Toronto Raptors. Per molti, quindi, la G League è una tappa fondamentale per nutrire sogni e ambizioni, o in certi casi per ritentare l’ascesa dopo un periodo difficile.

La NBA, attraverso quella che definisce la sua “minor league ufficiale“, ha creato così una sorta di farm system prendendo in parte ispirazione da quanto avviene nel baseball. La G League ha una storia ormai ventennale che affonda le sue radici nel variegato panorama delle minors USA. Le risorse investite dalla NBA, sia a livello tecnico che di marketing, sono notevolmente aumentate nel corso degli anni, creando così una struttura via via più solida.

Scopriamo ora 10 curiosità da conoscere sulla NBA G League!

La NBA G League Bubble

Se la stagione 2019-20 è stata sospesa e annullata a causa della pandemia di Covid-19, per la G League anche la 2020-21 è fortemente condizionata. La NBA ha scelto di ricorrere nuovamente alla “bolla” di Disney World, in Florida, per ospitare una stagione con formula molto ridotta. Allo ESPN Wide World of Sports Complex scendono in campo 18 squadre: 17 tra quelle “regolari” (sulle 28 totali, le altre 11 non partecipano), più la novità degli Ignite (vedi oltre). Dal 10 febbraio, per circa un mese, ogni squadra gioca 15 partite e le migliori 8 disputano un torneo a eliminazione diretta con gare singole. Finalissima l’11 marzo 2021.

NBA G League: gli Ignite

nba g league ignite

La G League è sempre stata considerata dalla NBA come un ottimo terreno per le sperimentazioni. Tra queste, spicca la creazione degli NBA G League Ignite. Si tratta della squadra che riunisce alcuni dei migliori prospetti appena usciti dalle high school, eleggibili al Draft NBA dell’anno successivo e non interessati a trascorrere un anno all’università in attesa del raggiungimento dell’età minima di 19 anni. Le partite degli Ignite non valgono ai fini della classifica, quindi è un exhibition team. Ma per l’edizione 2021 nella “bolla” sono conteggiate e quindi possono qualificarsi ai playoff. Di base a Walnut Creek, California, nel 2021 il coach è Brian Shaw e ne fanno parte alcuni veterani tra cui Jarrett Jack e Amir Johnson.

Gli italiani in NBA G League

gigi datome grand rapids

Nico Mannion, inserito nel roster dei Santa Cruz Warriors dopo alcune apparizioni in NBA con Golden State (scelta numero 48 al Draft 2020), è il secondo giocatore italiano di sempre a scendere sul parquet in G League. Prima di lui, Luigi Datome ha collezionato 2 presenze e 32 punti nella stagione 2014-15 con i Grand Rapids Drive, affiliata dei Detroit Pistons. Tra gli allenatori, nel 2020-21 Luca Banchi fa parte del coaching staff dei Long Island Nets (dove gioca Paul Eboua, camerunense ma italiano di formazione), mentre nel 2015-16 Andrea Mazzon è stato assistente ai Delaware 87ers (oggi Delaware Blue Coats).

G per Gatorade

nba g league logo

La NBA G League è nata nel 2001 come NBDL (National Basketball Development League), diventando nel 2005 D-League (NBA Development League). Nel 2017 la lega di sviluppo ha introdotto il title sponsor: G League, dove G – rigorosamente senza trattino – sta per Gatorade. Grazie a un accordo pluriennale, il celeberrimo brand di sport drink nato in Florida ha legato il proprio nome alla minor league ufficiale della NBA. Un’operazione accompagnata da un completo rebranding che ha introdotto i colori bianco, nero e arancione in sostituzione della vecchia immagine della D-League, che aveva un logo ispirato a quello della NBA.

Il presidente è Shareef Abdur-Rahim

Dal 2018 la carica di presidente della G League è ricoperta dall’ex ala NBA Shareef Abdur-Rahim. Terza scelta assoluta dei Vancouver Grizzlies nel 1996, ha giocato anche con Atlanta Hawks, Portland Trail Blazers e Sacramento Kings. Si è ritirato nel 2008 a trentadue anni per problemi al ginocchio. Nonostante il suo grande talento, è riuscito a disputare i playoff soltanto in un’occasione, nel 2006 con i Kings, e per sole sei trascurabili partite. Sempre a Sacramento è diventato assistente GM e in seguito è entrato nel management della NBA come associate vice president of basketball operations.

Un sogno per tutti

C’è una decina di modi diversi per diventare un giocatore di G League, ma il più particolare è sicuramente quello dei local tryouts. Si tratta, in sostanza, di provini aperti a tutti, tenuti da ogni squadra. Qui, chi se la sente, pagando una modica quota di partecipazione, può tentare il sogno mettendosi in luce davanti al coaching staff. Anche se non ha mai giocato prima ad alto livello: una soluzione molto americana. Ogni team può invitare al training camp fino a un massimo di quattro elementi ritenuti potenzialmente interessanti. Tra quelli che hanno avuto successo percorrendo questa strada, spiccano Jonathon Simmons e Alfonzo McKinnie.

La favola di Andre Ingram

Gran parte dei giocatori in G League è solo di passaggio, tra chi ottiene l’agognata chiamata in NBA, chi ci torna dopo un periodo o chi si dirige verso altri lidi come l’Europa o la Cina. Tuttavia ci sono giocatori che ci hanno trascorso una carriera intera, senza mai lamentarsi: è il caso di Andre Ingram, considerato una sorta di simbolo dei veterani della lega di sviluppo. Nato nel 1985, è stato un G Leaguer per 12 stagioni. A quasi 33 anni ha ricevuto un’insperata chiamata dai Los Angeles Lakers, per le ultime due partite della stagione 2017-18. Al debutto, 19 punti con 4/5 al tiro da tre e pubblico dello Staples Center in visibilio.

Un porto di mare

Ricollocamenti, cambi di nome, chiusure ed espansioni sono assolutamente frequenti in G League. Negli ultimi anni molte squadre hanno adottato lo stesso nickname della casa madre, forse togliendo un po’ di identità alla lega. Altre invece hanno mantenuto il loro nome originario. Nella stagione d’esordio (2001-02), la NBDL era composta da 8 squadre: Asheville Altitude, Columbus Riverdragons, Fayetteville Patriots, Greenville Groove (i primi campioni), Huntsville Flight, Mobile Revelers, North Charleston Lowgators, Roanoke Dazzle. Non ne è rimasta nessuna. In vent’anni, tra franchigie attive e dismesse, si contano ben 35 squadre.

Lo Showcase

L’evento annuale principale della lega di sviluppo è lo NBA G League Showcase, che esiste dal 2006. Si tratta di una riunione di tutte le squadre per alcuni giorni, in cui disputano mini tornei tra loro. Il pubblico è composto in larga parte da addetti ai lavori. Nel 2019, quando ancora il coronavirus non si immaginava neppure cosa fosse, si giocò a Las Vegas senza pubblico e visibile soltanto in video, a causa delle ridotte dimensioni dell’impianto di gioco all’interno del Mandalay Bay Resort. L’All-Star Game è esistito fino al 2017, sostituito a partire dall’anno successivo dal G League International Challenge.

La G League sbarca in Messico

Salvo ulteriori cambiamenti di programma a causa del Covid, dalla stagione 2021-22 dovrebbero debuttare in G League i Capitanes de Ciudad de Mexico, o Mexico City Captains. Si tratta della prima espansione ufficiale della NBA in Messico, dove finora si erano svolte soltanto alcune partite di esibizione. E la Nazionale messicana aveva affrontato una selezione di G League all’All-Star Game NBA 2018. Non si tratta di una nuova squadra:  il team esiste dal 2017 e partecipa alla massima divisione locale. L’arena sarà il Juan de la Barrera Olympic Gymnasium, da 5242 posti. Nel logo campeggia il Monumento alla Rivoluzione, edificio simbolo della capitale.

g league mexico city

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