La teoria dello zero: Agent 0, Russ, Dame

Ardua è la discussione che per secoli si è tenuta nei confronti di un numero: lo zero. Dalla matematica all’informatica, dalla scienza alla filosofia, la sua concezione cambia quando si scopre che, in una lettura esponenziale dei teoremi matematici e delle teorie filosofiche, il suo utilizzo ne muta decisamente il risultato.

Utilizzato per indicare tanto il nulla, quanto la crescita, lo zero è, con accezioni particolari, la sintesi di situazioni non meno complesse anche nel mondo dello sport. Nel basket c’è più di una storia che collega dei volti a questo numero.

Agent Zero: Gilbert Arenas

A partire da Gilbert Arenas, che in California inizia la sua avventura sportiva, diventando il bersaglio di chiunque, familiari compresi. I quali non fanno altro che ripetergli che non sfonderà mai nella pallacanestro perché gli manca qualcosa in termini di centimetri e fisico.

Mosso dalla voglia di dimostrare il contrario, si rende eleggibile al Draft 2001, ma qualcosa va storto. Ai Golden State Warriors, Gilbert sceglie la maglia numero 0 per rispondere alla provocazione di un suo allenatore, che un giorno a bordo campo gli disse: “Zero saranno i minuti che tu giocherai nella NBA“.

Le sue parole sono una delle prime splendide teorie dello zero nel basket: “La mia prima occasione fu Arizona. Decisi di andarci, contro ogni volere, compreso quello di mio padre. La gente continuava a ripetermi che in NBA avrei giocato zero minuti. Quindi pensai che se devo giocare ‘0 minuti’, allora andrò proprio lì e me li conquisterò tutti. Non si trattava più nemmeno di basket, ma di dimostrare che si sbagliavano“.

Passai le prime 40 partite della mia carriera nella NBA in panchina, mi sentivo inutile! – continua a raccontare Gilbert – Non si erano accorti del mio talento e neppure di quanto lavorassi duro. Ero frustrato e per certi versi iniziai a odiare quella maledetta palla a spicchi. Ma una videocassetta dei tempi del college mi ricordò che, sì, ero in grado di giocare a basket. E quando venne il mio turno, era come se sapessi già cosa fare: conquistai parquet e riflettori e da allora non mi sono più voltato indietro“.

Un nuovo inizio: Russell Westbrook

Tutto ha un inizio, ma non comincia da uno, comincia molto prima, nel caos. Il mondo nasce dal nulla. Il momento il cui lo zero diventa uno è il momento il cui il mondo si affaccia alla vita. [Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots]

Altro giro, altra giostra: Russell Westbrook. La storia di Russ trova le sue origini in un campetto di Lawndale, California, dove con il suo amico Khelcey Barrs, tra ferro e cemento, sogna di volare su un parquet della NBA. Si allenano tutti i giorni, uno contro uno, e quello che sembra avere più talento non era Russ, ma il suo amico. Entrambi entrano a far parte della Leuzinger High School. Ed è lì che Khelcey si impone come leader della squadra.

Un giorno come gli altri, in allenamento, la giovane stella di Leuzinger si accascia a terra e muore sotto gli occhi del suo amico, a causa di un’ipertrofia al cuore. Un durissimo colpo per Russell, che decide di giocare per realizzare il sogno dell’amico scomparso. Inizia la sua carriera in NBA indossando la maglia numero zero perché per lui questa occasione rappresenta “un nuovo inizio”, la voglia di riscatto, di riprendersi a mani nude tutto ciò che la vita gli aveva tolto proprio lì, nel bel mezzo di un campetto.

Westbrook si impone in NBA fin dal primo momento. Viene nominato due volte rookie del mese e chiude la prima stagione agli Oklahoma City Thunder (2008-09) con 15 punti, 5 rimbalzi e 4 assist di media. La stagione della definitiva consacrazione, però, è la 2010-11, in cui si dimostra uno dei migliori playmaker della lega. Sei anni più tardi è al comando della classifica dei marcatori con 31.6 punti di media e il premio di MVP. Il numero zero degli Oklahoma City Thunder gioca da numero uno e non smette di volare sopra i ferri fino a caccia di quel dannato Larry O’Brien Trophy che però non arriva. Al braccio porta l’immancabile braccialetto su cui è inciso KB3.

russell westbrook zero
Foto tratta da Basketballforever.com

Damian Lillard: The Letter O

Prendi lo zero quando hai incontrato delle difficoltà e stai cercando di ricominciare, ti aiuta a continuare, ti aiuta a riottenere indietro il tuo swag. [Russell Westbrook]

Damian Lillard: numero zero dei Trail Blazers, soprannominato “The Letter O”. Ha scelto di indossare quel numero nel 2012 quando è stato chiamato come sesta scelta assoluta dalla franchigia di Portland. L’ennesimo numero difficilmente inquadrabile come positivo nella NBA.

Ma al contrario di tutte le teorie sullo zero e le nullità, questo numero per Dame rappresenta una lettera dell’alfabeto: la “O”. È un omaggio alle tre città che hanno formato la sua carriera. Nato e cresciuto a Oakland, al college ha giocato con Weber State nella città di Ogden, Utah ed è poi arrivato nella NBA in una squadra dell’Oregon.

Oggi, a distanza di anni, il significato del numero zero è cambiato, diventando quasi una tendenza nella NBA. Orlando Woolridge, Kevin Love, Jeff Teague, Andre Drummond, Jayson Tatum potrebbero raccontarci di una fine, di un inizio e di un suo perché.

Teorie diverse ruotano attorno al numero zero, che sembra quasi rappresentare l’origine, il miglior punto di partenza. La base di chi nella NBA si è reso invincibile, allontanandosi dalla conformità e da tutte quelle cifre comprese tra 1 e 9. Si potrebbe pensare persino ad una squadra composta da loro.

Damian Lillard Dame Time
What time is it? It’s Dame Time!

Prima foto in alto: Gilbert Arenas, tratta da Nssmag.com

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