C’erano una volta gli Oklahoma City Hornets

«Caro insonne di Seattle, io vivo a Tulsa… Dov’è?»
«In Oklahoma. Lo sai dov’è l’Oklahoma?»
«In mezzo da qualche parte!»

Questo dialogo tra Sam Baldwin, il personaggio interpretato da Tom Hanks nel film del 1993 Insonnia d’amore di Nora Ephron, e il figlio Jonah (Ross Malinger), chiama in ballo Seattle e l’Oklahoma. Il titolo in lingua originale, tra l’altro, è Sleepless in Seattle.

Per una strana coincidenza, due luoghi geograficamente e culturalmente diversissimi come appunto Seattle e l’Oklahoma hanno incrociato i loro destini nella NBA. Come spesso accade negli sport professionistici americani, per ragioni di mercato i Seattle SuperSonics nel 2008 furono trasferiti a Oklahoma City. Qui la franchigia ha preso il nome di Thunder, “tuono”, in omaggio a una caratteristica del meteo locale: i temporali improvvisi e violenti, quando non i tornado. Thunder, inoltre, è anche il soprannome del 45° Reggimento di Fanteria Carristi dell’esercito, che ha sede là.

SuperSonics, o Sonics che sia, non si poteva più usare. Infatti è un marchio patrimonio della città di Seattle. Così la NBA come un fulmine è approdata “in mezzo da qualche parte”, cioè nell’Oklahoma. Nel cuore degli Stati Uniti centro-meridionali, terra conservatrice tra cowboy e praterie. L’esatto contrario dell’anticonformista città del nord-ovest, cuore della scena musicale grunge. E ai tifosi dei Sonics non è mai andato giù questo trasferimento. Peraltro, per trattare in modo esauriente questo tema non basterebbe un libro.

L’Oklahoma, il Sooner State

Oklahoma deriva da okla humma, che nella lingua dei nativi Choctaw significa “terra delle genti rosse”. Il governo centrale aveva allontanato queste popolazioni da altre zone del paese e le aveva sistemata in massa qui. È chiamato anche Sooner State e gli Oklahoma Sooners, letteralmente “quelli che arrivano prima, in anticipo”, sono gli atleti della University of Oklahoma.

Per spiegarlo, chiamiamo in causa un altro film, un western stavolta: Cimarron del 1960, con Glenn Ford. A questa pellicola di Anthony Mann fa da sfondo un importante avvenimento dell’epopea della conquista del West, decisiva per la nascita degli Stati Uniti come li intendiamo oggi. Se gran parte dell’Oklahoma era servita per collocarvi le tribù dei nativi cacciate dai loro luoghi d’origine, un’altra porzione del territorio era invece definita Unassigned Lands, “territori non assegnati”.

Si trattava di appezzamenti molto ambiti da una moltitudine di pionieri, visto che la pianura sembrava fertile e c’era anche una certa ricchezza di boschi. Varie famiglie, inoltre, erano riuscite ad arrivare qui indisturbate e a insediarvi le proprie fattorie. A questo punto, lo stato centrale non poté far altro che dare il via libera ai coloni. Il 2 marzo 1889 il presidente Benjamin Harrison firmò un decreto in cui, a partire dal 22 aprile, chiunque poteva prendere possesso delle Unassigned Lands.

Risultato: almeno diecimila pionieri si accamparono al confine con molti giorni d’anticipo, pronti a una vera e propria corsa con cavalli, asini, carri, velocipedi o qualsiasi altro mezzo, piedi compresi, in attesa del colpo di cannone che a mezzogiorno del 22 aprile 1889 avrebbe dato il via alla colonizzazione. Proprio a quel giorno risale la fondazione ufficiale di Oklahoma City. Alcuni pionieri, però, riuscirono a eludere la sorveglianza prima del sorgere del sole e a mettere la propria bandierina sulla terra da accaparrarsi, raggiungendo chi vi si era già stabilito da tempo. Quindi, durante la notte, presto, sooner, ed ecco il perché di Sooner State e Sooners.

Katrina devasta New Orleans

Chiusa la digressione storica, torniamo nel XXI secolo e allo sport. Si parlava di Thunder e spunta fuori un uragano: Katrina. Una delle più devastanti sciagure naturali di inizio millennio, abbattutasi alla fine di agosto 2005 sugli stati della Costa del Golfo e in particolare su New Orleans. La città della Louisiana, che sorge al di sotto del livello del mare, venne devastata dalle inondazioni, ingigantite dall’insufficienza del sistema di argini che avrebbe dovuto proteggerla dalle acque.

La tragedia dell’uragano Katrina ebbe conseguenze profonde anche sulle squadre locali. I New Orleans Hornets, trasferitisi nella capitale del jazz solo tre anni prima, provenienti da Charlotte (dove il proprietario George Shinn ebbe gravi contrasti con la comunità locale), dovettero fare nuovamente fare le valigie, a causa della prolungata inagibilità della New Orleans Arena (oggi Smoothie King Center e casa dei Pelicans, a sua volta inaugurata nel 1999).

La città che offrì le condizioni più vantaggiose e ottenne di ospitare le partite casalinghe dei “Calabroni” fu Oklahoma City. Una città molto diversa rispetto a New Orleans e nettamente più a nord del Golfo del Messico. Ma prontissima ad accogliere la NBA in un’area pressoché vergine in fatto di leghe professionistiche. Quindi per due stagioni, la 2005-06 e 2006-07, la squadra prese il nome di New Orleans / Oklahoma City Hornets.

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I due anni degli Oklahoma City Hornets

L’esilio degli Hornets, allora allenati da Byron Scott, giunse al termine venerdì 13 aprile 2007, con la sconfitta in casa per mano dei Denver Nuggets 105-107. La fine di una stagione da 39 vittorie e 43 sconfitte. Un successo in più rispetto alla precedente, conclusa 38-44. Svaniti i playoff, che sicuramente con meno infortuni sarebbero stati raggiunti, dalla stagione seguente la franchigia tornò a New Orleans, che in un’ottica di rilancio avrebbe ospitato l’All-Star Game 2008. Nel 2013 la squadra cambiò il nome in New Orleans Pelicans, in omaggio all’uccello tipico della zona. Charlotte si riprenderà il nickname Hornets dal 2014, al posto del poco fortunato Bobcats.

Aver ospitato due stagioni di NBA fu però decisivo per Oklahoma City. La città si presentò con un’arena nuova di zecca da diciottomila spettatori, il Ford Center (oggi Paycom Center), inaugurato da tre anni ma utilizzato soltanto per qualche concerto; e con un centro cittadino vivibile e ristrutturato, a compimento di un progetto durato un decennio e avviato dopo il terribile attentato dinamitardo che due balordi compirono uccidendo 168 persone il 19 aprile 2005.

Soprattutto, sul biglietto da visita di Oklahoma City campeggiavano notevoli agevolazioni economiche e fiscali. E un calore umano forse inatteso che abbracciò fin da subito gli Hornets, tanto da indurre l’allora commissioner David Stern, presente alla serata di commiato, a promettere solennemente che «la NBA tornerà ad Oklahoma City!». Anche Chris Paul, nel discorso di addio prima dell’ultima palla a due della stagione 2006-07, definì «incredibili» quei tifosi.

I risultati dei due anni a Oklahoma City, per quegli Hornets, furono piuttosto positivi. Di fronte al proprio pubblico, gli Hornets ottennero un record di 43 vittorie e 27 sconfitte. Per due stagioni, pur senza playoff, mostrarono consistenti segni di miglioramento, a maggior ragione se si considerano i numerosi infortuni agli elementi cardine della squadra. Per Chris Paul furono le due prime stagioni in NBA, mentre in squadra c’erano anche Tyson Chandler, arrivato dai Chicago Bulls nell’estate 2006, e Predrag Stojakovic, reduce dalla fugace esperienza a Indiana e che solo per un problema fisico non riuscì a rinverdire i fasti di Sacramento.

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